File:Antonio-de-Leyva-biografia-1836.jpg
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Italiano: Biografia in lingua spagnola di Antonio de Leyva pubblicata su "El Instructor o repertorio de Historia, bellas letras y artes n. 33 del 1836 |
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Date | ||||||
Source | El Instructor o repertorio de Historia, bellas letras y artes 9/1836 n.33 pag.275 e 276 | |||||
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Don Antonio de Leyva
Perfino nella fama degli uomini più grandi si intromette il capriccio del destino. Il generale più abile e valoroso del secolo XVI, sotto cui i vittoriosi condottieri delle trionfanti armi spagnole servivano con rispetto, il celebre capitano della cui compagnia volle farsi, e in effetti si aggregò come soldato semplice , il grande imperatore Carlo V, a malapena è conosciuto all’estero, o dagli stessi spagnoli, e il suo nome è menzionato solo di sfuggita nei libri di storia. Decorato con i maggiori onori e i più illustri titoli che i sovrani potessero concedere agli eroi, mai si incontra il suo nome associato con quelli, forse perché il solo suo nome bastava ai suoi tempi per distinguerlo. Si domandino i nostri lettori gli uni con gli altri chi fu il conte di Monza, il marchese di Atella, il duca di Terranova, il principe di Ascoli? Difficilmente troveranno chi sappia rispondere e dica il nome di quel Grande di Spagna, quel generalissimo degli eserciti alleati, e poi tenente del Cesare in Italia che riuniva in se tutti questi onori. Ebbene quest’uomo fu Don Antonio de Leyva, di cui noi ci proponiamo di dare qui alcune notizie.
Nacque questo illustre uomo nel 1480 in un villaggio della Rioja chiamato Leyva a due leghe dalla città di Santo Domingo de la Calzada, traendo dalla sua culla le doti e i requisiti che qualificano un eccellente generale. Suo padre fu Don Juan Martinez de Leyva, Signore del suddetto villaggio e la sua professione era Capitano generale dei Re Cattolici nell’esercito di Rossiglione, sua madre era Dona Costanza de Mendoza y Guzman, le cui illustri casate denotano le sue chiare origini. Senza dubbio, arruolato nelle milizie che passavano per Napoli, come soldato semplice, militò per molto tempo in tutti gradi inferiori prima di ottenere il comando di una brigata, e a questa circostanza dobbiamo attribuire il fatto che gli storici francesi e italiani dicano che il de Leyva fosse di origini oscure, e che da soldato semplice si elevò per le sue capacità al comando supremo di tutte le truppe in Italia.
Nel 1501 iniziò il suo servizio nella cavalleria, e già era capitano nella battaglia di Ravenna quando le truppe spagnole furono sconfitte dai francesi comandati da Gastone di Foix che morì nell’azione; il de Leyva ebbe due cavalli morti e ne uscì ferito, contribuendo con i suoi sforzi a mantenere l’ordine durante la ritirata. Nella battaglia di Rebec già comandava una brigata e al suo valore si attribuì la gloria di quella giornata. Nel 1523, partì con una divisione di truppe per soccorrere Milano, e contrastò l’esercito francese comandato da Bonnivet in tutto il milanese, però la sua maggiore gloria gli era riservata a Pavia. Marciava verso quella città tutto l’esercito francese comandato da Francesco I in persona. Il de Leyva prevenì l’intenzione del re francese e conoscendo l’importanza di quella piazzaforte si arrocò in quella con seimila veterani spagnoli risoluto a difenderla a oltranza. Francesco I in effetti fece tutti gli sforzi possibili per far capitolare Pavia, con gli assalti più disperati, quando seppe che le truppe spagnole che comandava il marchese di Pescara si stavano avvicinando, però il valore e la tenacia del de Leyva frustrò gli sforzi dei francesi. Giunto che fu l’esercito spagnolo avvenne quella celebre battaglia in cui il re Francesco fu preso prigioniero e il suo esercito distrutto. Non solo il de Leyva aveva contrastato il nemico per lungo tempo riparando le brecce aperte dalla artiglieria nemica, resistendo ai ripetuti assalti fino a soffrire le massime privazioni, di più durante il momento più critico del conflitto fra i contendenti, uscì con le sue truppe e piombando all’improvviso sulla retroguardia dei francesi la mise in tale scompiglio che provocò quella triste perdita per la Francia e il maggior trionfo del regno di Carlo v.
Nominato poi governatore di Milano partì per quel ducato nel 1527; sconfisse Francesco II Sforza a Marignano, prese la piazza di Casale, la cui guarnigione fu passata a fil di spada, e impadronitosi di Milano non poterono farlo sloggiare gli sforzi congiunti di tante potenze come quelle che formarono la lega contro il suo potere; prendendo per primo l’offensiva sorprese con una marcia forzata il generale conte di Saint Pol lo fece prigioniero e liberò il ducato dai nemici. Dimostrò la sua perizia e prudenza quando accompagnò Carlo V nella giornata di Vienna incontro a Solimano nel 1529; accompagnando poi l’imperatore nella sua spedizione in Africa come suo primo generale e consigliere. Scoppiata un’altra volta la guerra in Italia nel 1533 e formata la lega tra Spagna, Venezia e Roma, il de Leyva fu eletto di comune accordo generalissimo delle truppe. I francesi durante le spedizioni di Carlo V contro la Turchia e in Africa si erano impadroniti della Lombardia e del Monferrato, però il de Leyva fece loro una guerra tanto attiva che li cacciò a viva forza non solo fuori dall’Italia ma fino in Francia li perseguitò.
Fu cosa singolare che nelle ultime campagne avesse mantenuto il comando essendo costantemente afflitto dalla Gotta e da altri malanni; in modo che fra i dolori che soffriva nel letto formava il piano dei suoi attacchi; era incapace di montare a cavallo, si faceva condurre con una portantina tra le fila dei soldati durante la battaglia dando i suoi ordini con serenità e ottenendo sempre la vittoria. Le continue fatiche del corpo e della mente aggravarono tanto i suoi dolori che già non fu in potere della natura di resistere alla fine della sua dissoluzione; e una febbre che sterminava il suo esercito lo uccise nei campi di Aix, e alla età di 56 anni, l’illustre condottiero, che onorato con più vittorie e titoli di nessun altro generale in Spagna, non è oggi conosciuto se non da pochi e solo per il nome che ereditò dalla sua casa paterna prima di entrare nel servizio militare, Don Antonio de Leyva. La sua attività e talento nel corso di una battaglia non conobbero eguali. Il gran capitano che era suo cugino ebbe altri scenari per le sue imprese, comandando sempre i suoi eserciti più come un monarca assoluto che come un generale dipendente da un sovrano, di una corte e di ministri invidiosi; così le sue vittorie furono più splendide e più celebrate le sue conquiste; era il de Leyva il pupillo di un gran imperatore, grande politico e gran generale. In verità, nonostante questi lo onorasse quanto poteva, però la presenza di un astro non permette ai suoi satelliti di brillare molto. Leyva aveva nell’esercito una compagnia privilegiata, la prima che aveva comandato nel suo servizio, e si gloriava di passarla in rivista come la sua compagnia particolare. Un giorno che sfilava davanti a Carlo V, questi prese un moschetto e si mise in fila, comandando al Commissario generale che scrivesse nel libro “Carlos de Gante, soldato nella compagnia del Sig. Antonio de Leyva”. Chi ebbe il suo nome registrato in questo modo non necessitava di altri titoli per essere da allora in poi distinto. Questa recluta diede più onore al suo capitano che i più numerosi eserciti ai loro rispettivi marescialli.
Una educazione meramente militare, una vita trascorsa tra gli orrori della guerra, e una sofferenza di continue infermità gli avevano generato una certa asprezza nel carattere di cui si avvalevano i suoi detrattori per motteggiarlo di crudele, di dispotico e anche di empio. Crudele perché era inflessibile nella disciplina militare senza cui non esistono eserciti; dispotico perché si faceva obbedire senza di che non si possono ottenere vittorie; e empio perché diceva le crude verità senza considerazione alla coscienza ne alla malizia degli altri.
Carlo V si propose di fare una conquista, ingiusta, come tutte quelle che fanno i re e le repubbliche, e parlando un giorno con il de Leyva sopra questo proposito, l’imperatore domandò al generale quale sarebbe stato il miglior modo per conservarla senza ribellioni. Leyva gli rispose che il modo più sicuro era di decapitare i principi che avevano possedimenti in quel territorio. ”Ma che sarà della mia anima”? esclamò l’imperatore con sorpresa. “Ah! Signore!” rispose enfaticamente il de Leyva, “se Vostra Maestà ha un’anima, desista dalle conquiste e si ritiri nel suo palazzo”.
Fonte: El Instructor o Repertorio de historia, bellas letras y artes 9/1836 n.33 pag. 275 e 276
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Don Antonio de Leyva
Perfino nella fama degli uomini più grandi si intromette il capriccio del destino. Il generale più abile e valoroso del secolo XVI, sotto cui i vittoriosi condottieri delle trionfanti armi spagnole servivano con rispetto, il celebre capitano della cui compagnia volle farsi, e in effetti si aggregò come soldato semplice , il grande imperatore Carlo V, a malapena è conosciuto all’estero, o dagli stessi spagnoli, e il suo nome è menzionato solo di sfuggita nei libri di storia. Decorato con i maggiori onori e i più illustri titoli che i sovrani potessero concedere agli eroi, mai si incontra il suo nome associato con quelli, forse perché il solo suo nome bastava ai suoi tempi per distinguerlo. Si domandino i nostri lettori gli uni con gli altri chi fu il conte di Monza, il marchese di Atella, il duca di Terranova, il principe di Ascoli? Difficilmente troveranno chi sappia rispondere e dica il nome di quel Grande di Spagna, quel generalissimo degli eserciti alleati, e poi tenente del Cesare in Italia che riuniva in se tutti questi onori. Ebbene quest’uomo fu Don Antonio de Leyva, di cui noi ci proponiamo di dare qui alcune notizie.
Nacque questo illustre uomo nel 1480 in un villaggio della Rioja chiamato Leyva a due leghe dalla città di Santo Domingo de la Calzada, traendo dalla sua culla le doti e i requisiti che qualificano un eccellente generale. Suo padre fu Don Juan Martinez de Leyva, Signore del suddetto villaggio e la sua professione era Capitano generale dei Re Cattolici nell’esercito di Rossiglione, sua madre era Dona Costanza de Mendoza y Guzman, le cui illustri casate denotano le sue chiare origini. Senza dubbio, arruolato nelle milizie che passavano per Napoli, come soldato semplice, militò per molto tempo in tutti gradi inferiori prima di ottenere il comando di una brigata, e a questa circostanza dobbiamo attribuire il fatto che gli storici francesi e italiani dicano che il de Leyva fosse di origini oscure, e che da soldato semplice si elevò per le sue capacità al comando supremo di tutte le truppe in Italia.
Nel 1501 iniziò il suo servizio nella cavalleria, e già era capitano nella battaglia di Ravenna quando le truppe spagnole furono sconfitte dai francesi comandati da Gastone di Foix che morì nell’azione; il de Leyva ebbe due cavalli morti e ne uscì ferito, contribuendo con i suoi sforzi a mantenere l’ordine durante la ritirata. Nella battaglia di Rebec già comandava una brigata e al suo valore si attribuì la gloria di quella giornata. Nel 1523, partì con una divisione di truppe per soccorrere Milano, e contrastò l’esercito francese comandato da Bonnivet in tutto il milanese, però la sua maggiore gloria gli era riservata a Pavia. Marciava verso quella città tutto l’esercito francese comandato da Francesco I in persona. Il de Leyva prevenì l’intenzione del re francese e conoscendo l’importanza di quella piazzaforte si arrocò in quella con seimila veterani spagnoli risoluto a difenderla a oltranza. Francesco I in effetti fece tutti gli sforzi possibili per far capitolare Pavia, con gli assalti più disperati, quando seppe che le truppe spagnole che comandava il marchese di Pescara si stavano avvicinando, però il valore e la tenacia del de Leyva frustrò gli sforzi dei francesi. Giunto che fu l’esercito spagnolo avvenne quella celebre battaglia in cui il re Francesco fu preso prigioniero e il suo esercito distrutto. Non solo il de Leyva aveva contrastato il nemico per lungo tempo riparando le brecce aperte dalla artiglieria nemica, resistendo ai ripetuti assalti fino a soffrire le massime privazioni, di più durante il momento più critico del conflitto fra i contendenti, uscì con le sue truppe e piombando all’improvviso sulla retroguardia dei francesi la mise in tale scompiglio che provocò quella triste perdita per la Francia e il maggior trionfo del regno di Carlo v.
Nominato poi governatore di Milano partì per quel ducato nel 1527; sconfisse Francesco II Sforza a Marignano, prese la piazza di Casale, la cui guarnigione fu passata a fil di spada, e impadronitosi di Milano non poterono farlo sloggiare gli sforzi congiunti di tante potenze come quelle che formarono la lega contro il suo potere; prendendo per primo l’offensiva sorprese con una marcia forzata il generale conte di Saint Pol lo fece prigioniero e liberò il ducato dai nemici. Dimostrò la sua perizia e prudenza quando accompagnò Carlo V nella giornata di Vienna incontro a Solimano nel 1529; accompagnando poi l’imperatore nella sua spedizione in Africa come suo primo generale e consigliere. Scoppiata un’altra volta la guerra in Italia nel 1533 e formata la lega tra Spagna, Venezia e Roma, il de Leyva fu eletto di comune accordo generalissimo delle truppe. I francesi durante le spedizioni di Carlo V contro la Turchia e in Africa si erano impadroniti della Lombardia e del Monferrato, però il de Leyva fece loro una guerra tanto attiva che li cacciò a viva forza non solo fuori dall’Italia ma fino in Francia li perseguitò.
Fu cosa singolare che nelle ultime campagne avesse mantenuto il comando essendo costantemente afflitto dalla Gotta e da altri malanni; in modo che fra i dolori che soffriva nel letto formava il piano dei suoi attacchi; era incapace di montare a cavallo, si faceva condurre con una portantina tra le fila dei soldati durante la battaglia dando i suoi ordini con serenità e ottenendo sempre la vittoria. Le continue fatiche del corpo e della mente aggravarono tanto i suoi dolori che già non fu in potere della natura di resistere alla fine della sua dissoluzione; e una febbre che sterminava il suo esercito lo uccise nei campi di Aix, e alla età di 56 anni, l’illustre condottiero, che onorato con più vittorie e titoli di nessun altro generale in Spagna, non è oggi conosciuto se non da pochi e solo per il nome che ereditò dalla sua casa paterna prima di entrare nel servizio militare, Don Antonio de Leyva. La sua attività e talento nel corso di una battaglia non conobbero eguali. Il gran capitano che era suo cugino ebbe altri scenari per le sue imprese, comandando sempre i suoi eserciti più come un monarca assoluto che come un generale dipendente da un sovrano, di una corte e di ministri invidiosi; così le sue vittorie furono più splendide e più celebrate le sue conquiste; ero il de Leyva era il pupillo di un gran imperatore, grande politico e gran generale. In verità, nonostante quesi lo onorasse quanto poteva, però la presenza di un astro non permette ai suoi satelliti di brillare molto. Leyva aveva nell’esercito una compagnia privilegiata, la prima che aveva comandato nel suo servizio, e si gloriava di passarla in rivista come la sua compagnia particolare. Un giorno che sfilava davanti a Carlo V, questi prese un moschetto e si mise in fila, comandando al Commissario generale che scrivesse nel libro “Carlos de Gante, soldato nella compagnia del Sig. Antonio deLeyva”. Chi ebbe il suo nome registrato in questo modo non necessitava di altri titoli per essere da allora in poi distinto. Questa recluta diede più onore al suo capitano che i più numerosi eserciti ai loro ripsettivi marescialli.
Una educazione meramente militare, una vita trascorsa tra gli orrori della guerra, e una sofferenza di continue infermità gli avevano generato una certa asprezza nel carattere di cui si avvalevano i suoi detrattori per motteggiarlo di crudele, di dispotico e anche di empio. Crudele perché era inflessibile nella disciplina militare senza cui non esistono eserciti; dispotico perché si faceva obbedire senza di che non si possono ottenere vittorie; e empio perché diceva le crude verità senza considerazione alla coscienza ne alla malizia degli altri.
Carlo V si propose di fare una conquista, ingiusta, come tutte quelle che fanno i re e le repubbliche, e parlando un giorno con il de Leyva sopra questo proposito, l’imperatore domandò al generale quale sarebbe stato il miglior modo per conservarla senza ribellioni. Leyva gli rispose che il modo più sicuro era di decapitare i principi che avevano possedimenti in quel territorio. ”Ma che sarà della mia anima”? esclamò l’imperatore con sorpresa. “Ah! Signore!” rispose enfaticamente il de Leyva, “se Vostra Maestà ha un’anima, desista dalle conquiste e si ritiri nel suo palazzo”.
Fonte: El Instructor o Repertorio de historia, bellas letras y artes 9/1836 n.33 pag. 275 e 276
Don Antonio de Leyva
Perfino nella fama degli uomini più grandi si intromette il capriccio del destino. Il generale più abile e valoroso del secolo XVI, sotto cui i vittoriosi condottieri delle trionfanti armi spagnole servivano con rispetto, il celebre capitano della cui compagnia volle farsi, e in effetti si aggregò come soldato semplice , il grande imperatore Carlo V, a malapena è conosciuto all’estero, o dagli stessi spagnoli, e il suo nome è menzionato solo di sfuggita nei libri di storia. Decorato con i maggiori onori e i più illustri titoli che i sovrani potessero concedere agli eroi, mai si incontra il suo nome associato con quelli, forse perché il solo suo nome bastava ai suoi tempi per distinguerlo. Si domandino i nostri lettori gli uni con gli altri chi fu il conte di Monza, il marchese di Atella, il duca di Terranova, il principe di Ascoli? Difficilmente troveranno chi sappia rispondere e dica il nome di quel Grande di Spagna, quel generalissimo degli eserciti alleati, e poi tenente del Cesare in Italia che riuniva in se tutti questi onori. Ebbene quest’uomo fu Don Antonio de Leyva, di cui noi ci proponiamo di dare qui alcune notizie.
Nacque questo illustre uomo nel 1480 in un villaggio della Rioja chiamato Leyva a due leghe dalla città di Santo Domingo de la Calzada, traendo dalla sua culla le doti e i requisiti che qualificano un eccellente generale. Suo padre fu Don Juan Martinez de Leyva, Signore del suddetto villaggio e la sua professione era Capitano generale dei Re Cattolici nell’esercito di Rossiglione, sua madre era Dona Costanza de Mendoza y Guzman, le cui illustri casate denotano le sue chiare origini. Senza dubbio, arruolato nelle milizie che passavano per Napoli, come soldato semplice, militò per molto tempo in tutti gradi inferiori prima di ottenere il comando di una brigata, e a questa circostanza dobbiamo attribuire il fatto che gli storici francesi e italiani dicano che il de Leyva fosse di origini oscure, e che da soldato semplice si elevò per le sue capacità al comando supremo di tutte le truppe in Italia.
Nel 1501 iniziò il suo servizio nella cavalleria, e già era capitano nella battaglia di Ravenna quando le truppe spagnole furono sconfitte dai francesi comandati da Gastone di Foix che morì nell’azione; il de Leyva ebbe due cavalli morti e ne uscì ferito, contribuendo con i suoi sforzi a mantenere l’ordine durante la ritirata. Nella battaglia di Rebec già comandava una brigata e al suo valore si attribuì la gloria di quella giornata. Nel 1523, partì con una divisione di truppe per soccorrere Milano, e contrastò l’esercito francese comandato da Bonnivet in tutto il milanese, però la sua maggiore gloria gli era riservata a Pavia. Marciava verso quella città tutto l’esercito francese comandato da Francesco I in persona. Il de Leyva prevenì l’intenzione del re francese e conoscendo l’importanza di quella piazzaforte si arrocò in quella con seimila veterani spagnoli risoluto a difenderla a oltranza. Francesco I in effetti fece tutti gli sforzi possibili per far capitolare Pavia, con gli assalti più disperati, quando seppe che le truppe spagnole che comandava il marchese di Pescara si stavano avvicinando, però il valore e la tenacia del de Leyva frustrò gli sforzi dei francesi. Giunto che fu l’esercito spagnolo avvenne quella celebre battaglia in cui il re Francesco fu preso prigioniero e il suo esercito distrutto. Non solo il de Leyva aveva contrastato il nemico per lungo tempo riparando le brecce aperte dalla artiglieria nemica, resistendo ai ripetuti assalti fino a soffrire le massime privazioni, di più durante il momento più critico del conflitto fra i contendenti, uscì con le sue truppe e piombando all’improvviso sulla retroguardia dei francesi la mise in tale scompiglio che provocò quella triste perdita per la Francia e il maggior trionfo del regno di Carlo v.
Nominato poi governatore di Milano partì per quel ducato nel 1527; sconfisse Francesco II Sforza a Marignano, prese la piazza di Casale, la cui guarnigione fu passata a fil di spada, e impadronitosi di Milano non poterono farlo sloggiare gli sforzi congiunti di tante potenze come quelle che formarono la lega contro il suo potere; prendendo per primo l’offensiva sorprese con una marcia forzata il generale conte di Saint Pol lo fece prigioniero e liberò il ducato dai nemici. Dimostrò la sua perizia e prudenza quando accompagnò Carlo V nella giornata di Vienna incontro a Solimano nel 1529; accompagnando poi l’imperatore nella sua spedizione in Africa come suo primo generale e consigliere. Scoppiata un’altra volta la guerra in Italia nel 1533 e formata la lega tra Spagna, Venezia e Roma, il de Leyva fu eletto di comune accordo generalissimo delle truppe. I francesi durante le spedizioni di Carlo V contro la Turchia e in Africa si erano impadroniti della Lombardia e del Monferrato, però il de Leyva fece loro una guerra tanto attiva che li cacciò a viva forza non solo fuori dall’Italia ma fino in Francia li perseguitò.
Fu cosa singolare che nelle ultime campagne avesse mantenuto il comando essendo costantemente afflitto dalla Gotta e da altri malanni; in modo che fra i dolori che soffriva nel letto formava il piano dei suoi attacchi; era incapace di montare a cavallo, si faceva condurre con una portantina tra le fila dei soldati durante la battaglia dando i suoi ordini con serenità e ottenendo sempre la vittoria. Le continue fatiche del corpo e della mente aggravarono tanto i suoi dolori che già non fu in potere della natura di resistere alla fine della sua dissoluzione; e una febbre che sterminava il suo esercito lo uccise nei campi di Aix, e alla età di 56 anni, l’illustre condottiero, che onorato con più vittorie e titoli di nessun altro generale in Spagna, non è oggi conosciuto se non da pochi e solo per il nome che ereditò dalla sua casa paterna prima di entrare nel servizio militare, Don Antonio de Leyva. La sua attività e talento nel corso di una battaglia non conobbero eguali. Il gran capitano che era suo cugino ebbe altri scenari per le sue imprese, comandando sempre i suoi eserciti più come un monarca assoluto che come un generale dipendente da un sovrano, di una corte e di ministri invidiosi; così le sue vittorie furono più splendide e più celebrate le sue conquiste; ero il de Leyva era il pupillo di un gran imperatore, grande politico e gran generale. In verità, nonostante quesi lo onorasse quanto poteva, però la presenza di un astro non permette ai suoi satelliti di brillare molto. Leyva aveva nell’esercito una compagnia privilegiata, la prima che aveva comandato nel suo servizio, e si gloriava di passarla in rivista come la sua compagnia particolare. Un giorno che sfilava davanti a Carlo V, questi prese un moschetto e si mise in fila, comandando al Commissario generale che scrivesse nel libro “Carlos de Gante, soldato nella compagnia del Sig. Antonio deLeyva”. Chi ebbe il suo nome registrato in questo modo non necessitava di altri titoli per essere da allora in poi distinto. Questa recluta diede più onore al suo capitano che i più numerosi eserciti ai loro ripsettivi marescialli.
Una educazione meramente militare, una vita trascorsa tra gli orrori della guerra, e una sofferenza di continue infermità gli avevano generato una certa asprezza nel carattere di cui si avvalevano i suoi detrattori per motteggiarlo di crudele, di dispotico e anche di empio. Crudele perché era inflessibile nella disciplina militare senza cui non esistono eserciti; dispotico perché si faceva obbedire senza di che non si possono ottenere vittorie; e empio perché diceva le crude verità senza considerazione alla coscienza ne alla malizia degli altri.
Carlo V si propose di fare una conquista, ingiusta, come tutte quelle che fanno i re e le repubbliche, e parlando un giorno con il de Leyva sopra questo proposito, l’imperatore domandò al generale quale sarebbe stato il miglior modo per conservarla senza ribellioni. Leyva gli rispose che il modo più sicuro era di decapitare i principi che avevano possedimenti in quel territorio. ”Ma che sarà della mia anima”? esclamò l’imperatore con sorpresa. “Ah! Signore!” rispose enfaticamente il de Leyva, “se Vostra Maestà ha un’anima, desista dalle conquiste e si ritiri nel suo palazzo”.
Fonte: El Instructor o Repertorio de historia, bellas letras y artes 9/1836 n.33 pag. 275 e 276
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