File:«La Grande Guerra della mia famiglia», item 11.jpg

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«La Grande Guerra della mia famiglia», item 11
Title
«La Grande Guerra della mia famiglia», item 11
Description
«La Grande Guerra» Ecco alcuni ricordi di mio padre Gino che, prima come motociclista ed in seguito come Caporalmaggiore nella 34° Colonna Munizioni della “Invitta” Terza Armata posta al comando del Duca di Aosta, prese parte alla prima guerra mondiale. Non amava toccare questo argomento che evidentemente lo aveva segnato in maniera indelebile, ma talvolta mi raccontava di come per tutta la durata del conflitto inviasse a casa molto spesso le speciali cartoline postali militari su cui era solito scrivere semplicemente: “Salute ottima, morale altissimo”. Nel periodo in cui era motociclista, riportò per ben due volte una frattura ad una gamba nel corso di missioni notturne a causa della scarsa visibilità fornita dai fari ad acetilene ed del pessimo stato delle strade malamente dissestate e costellate di profondi crateri prodotti dai proiettili dell’artiglieria pesante nemica. Guidava le belle moto sidecar Harley Davison con trasmissione a cinghia. Talvolta era costretto a rischiare la propria incolumità in quanto inviato in missioni “speciali”, ad esempio portava le lettere di un ufficiale ad una qualche crocerossina che prestava servizio in uno degli ospedali da campo nelle retrovie…. Prestò servizio anche come autista dell’amico ufficiale conte Giulio Masetti da Bagnano, anch’egli fiorentino e grande appassionato di motori (morirà in un tragico incidente durante la Targa Florio del 1926, corsa che aveva vinto nel 1921 e nel 1922, alla guida di una FIAT 15TER). Un loro frequente divertimento era il giungere a velocità moderata in prossimità dei numerosi posti di blocco effettuati dai carabinieri lungo le strade sterrate a ridosso del fronte per poi improvvisamente : – Ora Gino, vaiii !! - accelerare di colpo, lasciando sul posto i militari di servizio letteralmente ricoperti da una fitta nuvola di polvere! Ma quando mi raccontava della rotta del nostro esercito successiva allo sfondamento di Caporetto io rimanevo letteralmente sbalordito e nella mia fantasia immaginavo quelle ore terribili: le strade completamente intasate dai mezzi più svariati, carriaggi militari e civili frammisti, automezzi di tutti i tipi, cavalli e muli terrorizzati che non volevano più procedere e che dovevano esser spinti con i paraurti dei camion per liberare la strada, le urla, il buio, la pioggia incessante, il freddo, i nemici alle calcagna che non davano mai sosta ! Una notte addirittura i tedeschi erano a ridosso della colonna di cui faceva parte. Un ponte di grande importanza era ormai indifendibile ed il nemico troppo vicino. Vide un lampo abbagliante, poi udì un gigantesco boato e vide volare per aria carri, cavalli, uomini …. quel ponte su cui era passato qualche minuto prima era stato fatto saltare in aria dai nostri genieri con tutto ciò che vi transitava sopra. Per fortuna mio padre era già passato sulla sponda opposta. Le sue doti di coraggio, serietà ed abnegazione nel servizio, gli valsero la Croce al Merito di Guerra. Per circa due anni, 1917 e 1918, mia nonna, mia madre e mia zia Maria furono ospiti del nonno Pietro Verber che abitava a Firenze in via Cimabue, proprio accanto al villino del notissimo e stravagante drammaturgo e commediografo Augusto Novelli. Fu senz’altro un periodo assai difficile e doloroso per mia nonna e le figlie Maria e Margherita. Oltre ai disagi che la guerra aveva arrecato a tutti, in particolare a mia nonna sfiancata dai lunghi orari trascorsi in qualità di infermiera all'ospedale militare di Castello, da molto tempo non si avevano notizie dello zio Giovanni, fratello di mia madre, ufficiale di artiglieria proprio sul fronte carsico, travolto alla fine di ottobre del 1917 dallo sfondamento nemico a Caporetto. Dopo mesi e mesi di angoscioso silenzio, alcuni amici di famiglia consigliarono alla nonna di recarsi ad interrogare una suora famosa per la sua veggenza. La visita dette buoni frutti. La religiosa rispose subito che lo zio era vivo, ma ferito e che si trovava prigioniero e nella momentanea impossibilità di far avere sue notizie. Ben presto, a ogni buon conto, giunse finalmente una lettera dello zio Giovanni ed altre numerose ben presto ne seguirono. Ricordo ancora con commozione quando mia madre raccontava del ritorno a casa dello zio dalla prigionia. Mia nonna quel giorno si pettinava lentamente dinanzi alla toilette nel silenzio della sua camera e la luce del pomeriggio varcava prepotente le alte finestre del pianterreno rialzato che davano su via Cimabue. Anche il rumore di una carrozza che interrompeva la sua corsa proprio là davanti fece il suo ingresso nella stanza e la nonna, alzatasi dalla poltroncina, si diresse incuriosita verso la finestra. Giuntane in prossimità, la sua mano spostò lentamente i pizzi della tenda ed i suoi occhi caddero sulla carrozza e sul quel giovane uomo in divisa da ufficiale che si muoveva faticosamente appoggiandosi ad un bastone. Comprese subito il suo cuore che si trattava di suo figlio! Gli occhi rimasero sbarrati mentre la sua vista istintivamente si acuiva : - C’è Giovanni! Quei momenti belli ed indimenticabili la ripagavano per tutte le sofferenze passate! Il 4 novembre 1918, a tre anni e mezzo circa dall’inizio, ebbe finalmente termine per la nostra Nazione la Grande Guerra ed in ogni città, paese e villaggio d’Italia, accantonando per il momento le terribili sofferenze passate ed il dolore per i tanti fratelli scomparsi o gravemente feriti, esplosero irrefrenabili i festeggiamenti per la tanto agognata ed attesa Vittoria! Lo zio Giovanni, già rientrato dalla prigionia, quel giorno si trovava a Firenze nell’attuale piazza della Repubblica, allora piazza Vittorio Emanuele, nella sua divisa di tenente e sostenendosi col bastone per le ferite ancora fresche alle gambe. La notizia dell’avvenuto armistizio si sparse immediatamente e, mentre le campane di tutte le chiese suonavano festose e la città era tutta un tricolore, l’enorme folla impazzita di gioia sollevò lo zio che assisteva in disparte assai commosso, portandolo in trionfo come segno di riconoscenza per coloro che avevano così tanto sofferto. In Firenze i festeggiamenti ebbero luogo anche al teatro della Pergola dove mia madre Margherita ed altre giovanette, allieve delle suore francesi, si esibirono nell’esecuzione canora di tutti gli inni nazionali dei paesi alleati. Le squillanti note si susseguirono brillanti in mezzo ad un tripudio di luci, fiori, applausi e bandiere: da God save the King alla Marsigliese, dall’inno belga a quello russo e così via finché la Marcia Reale di Gobetti coronò la festa di quell’ indimenticabile giornata. Elio Baldi
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