User talk:ENZO PIETRARELLI

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EDIZIONE I° 30 GENNAIO 2011. PROF.ENZO dott. PIETRAREL.LI Archeologo Egittologo, Universita' La Sapienza di Roma, La Sapienza di Pisa, Mondo Antico


“Equilibrio del terrore nel Vicino Oriente antico. Scontri ed incontri fra grandi potenze e piccoli regni nell’età di el-Amarna come letti dall’archivio amarniano”


Introduzione

Dalla fine del 1800, l’interesse degli studiosi di tutto il mondo ha acceso la corsa culturale della ricerca del passato. La ricerca e l’attento studio sono stati incentivati dai ritrovamenti archeologici, che hanno restituito di innumerevoli specie di reperti, ma ancor più dal ritrovamento di fonti epigrafiche che hanno dato modo di comprendere meglio la storia da un mosaico ampio e vario di documenti. Sono stati scritti centinaia di libri con l’intento di descrivere e documentare il modo di vita dei singoli, dei gruppi e poi delle nazioni formatisi nei tempi. Particolarmente affascinante è il tentativo di sottoporre all’analisi storica gli elementi che hanno determinato i rapporti politici e diplomatici tra grandi e piccoli regni: colloqui e contatti tra regni, patti e trattati che davano luogo a pace e fratellanze, rotture davano luogo alla guerra e con essa, la formazione di nuovi regni, la sottomissione di altri o la conferma e supremazia di un regno già forte e potente. Le fonti disponibili offrono grandi opportunità alla comprensione dei rapporti politici gestiti attraverso la diplomazia, tanto nazionale che internazionale nelle differenti fasi del periodo che prenderemo in considerazione. Come si tratterà nel presente elaborato, i preziosi archivi di Ebla, Mari, Ugarit, El-Amarna, Boghazkoy ed altri minori hanno restituito selettivamente epigrafi di grande importanza testimoniale, tra cui: trattati, editti, lettere, elenchi economici e altri documenti tali da farci comprendere come erano costituite e come funzionavano le società antiche nei meccanismi culturali, socio-politici e economici dei regni.Concentrando le nostre analisi su un periodo preciso, l’età del Tardo Bronzo, tra il XV e il XIII sec. a.C., prenderemo in considerazione un Vicino Oriente maturo sotto tutti i punti di vista, realizzando un quadro complessivo e completo delle civiltà del tempo. Si considereranno gli aspetti storici e archeologici giacché come si è detto l’archeologia ha fornito alla storia gli elementi essenziali del mosaico, lo sviluppo culturale, sociale e politico.


La nostra osservazione e il nostro interesse cercheranno di andare oltre, con l’analisi della mentalità antica in relazione al concetto di “spazio”, nel frattempo di chiarire come si identificava, nella mentalità e cognizione antica, “il confine” e di stabilire che cosa si intendeva come territorio; chi erano gli stranieri e il rapporto quindi, tra chi era dentro di chi era fuori. Soprattutto in relazione, all’accettazione entro il confine del così detto “straniero”, si cercherà di chiarire come veniva considerata tale differenza, nella mentalità delle società esaminate . Di fondamentale importanza sono i criteri e i meccanismi che portano all’accettazione di un nuovo monarca. Il formarsi di “stati”, piccoli o grandi regni o l’affermazione dei grandi regni erano fenomeni gestiti dai meccanismi diplomatici che, già nell’età del Tardo Bonzo, risultano strumenti efficienti al servizio della politica. Per questo si darà spazio allo studio e all’analisi di questi strumenti, attraverso le traduzioni di trattati che hanno costituito o revocato alleanze, con la proclamazione di guerre e pace. In questo senso, attraverso i fatti ed i patti che contiene, un trattato o, un editto consente all’analisi storica di constatare i giochi di potere diplomatici che nel Tardo Bronzo, “brillano” di smalto lucido strutturale, come elemento chiave della vita politica di potenze efficaci e perfettamente funzionanti sotto ogni punto di vista.


La politica era attivata dalla diplomazia che in molte circostanze, come vedremo operava per via ufficiale ma attraverso mezzi e presupposti diversi, come ad esempio “il matrimonio interdinastico”, che rappresentò un punto chiave nel rinforzare un’alleanza vendendola almeno ideologicamente permanente nel tempo, quando tra due grandi regni e quando tra due piccoli regni. La documentazione può essere costituita da lettere interdinastiche tra grandi re e piccoli re, che interagiscono intorno al matrimonio interdinastico, dichiarando le reciproche intenzioni di perpetuare la pace; ma ancor più essi appaiono mossi dall’interesse economico giacché andavano a canonizzare un protocollo comportamentale e di uso e costume come “la dote”, che politicamente assumeva un grande valore in relazione agli interessi reciproci dei regni intervenuti nei patti matrimoniali. A questo punto, l’argomento che richiede la nostra attenzione è il “dono”; in effetti dedicherà ad esso grande spazio nel lavoro essendo motivo polivalente, usato per le più disparate occasioni, come mezzo indispensabile per l’ ufficializzazione di matrimoni, vittorie, incoronazioni, alleanza, e come funzione di riconoscimento tra re di pari rango o in rapporto di subordinazione gerarchica; in definitiva , il dono rappresenta un mezzo per dichiarare attenzione, un mezzo diplomatico per sottolineare le intenzioni da monarca a monarca.


Il dono può essere considerato come elemento di mediazione e come mezzo di distinzione delle volontà delle parti, in tempo di guerra e maggiormente in tempo di pace, un mezzo per essere ascoltati attentamente, considerati e accettati quali patners in un rapporto intrapreso. Per questo il dono, come si vedrà, è mezzo di articolazione sociale, o forse è più corretto dire che è mezzo di migliore articolazione sociale, in quanto tutto il complesso meccanismo si muove con disinvoltura già con i processi culturali politico- sociali. L’elaborato tenterà ad arrivare alle radici delle società del tempo, studiare quali erano le cause che porteranno ad attuare certi artifici socio-politici e come la diplomazia ha contribuito ad “oliare” questo meccanismo di un mondo sociale pulsante e vivente nella società di potere. Ogni riconoscimento va agli archeologi che come severi pionieri hanno fornito materiale prezioso per la storia. Ma un grazie va anche ai linguisti che hanno dato all’umanità la conoscenza dei testi che posti nelle mani, da ultimo degli storici, hanno consentito di ricostruire molti fatti e le relative cause.

scena sacrale su papiro, “il Faraone” che colpisce a morte i suoi avversari con la protezione degli dèi


Capitolo primo


LA TARDA ETA’ DEL BRONZO ASPETTI STORICI E ARCHEOLOGICI


CENNI SULLE FONTI E GLI ARCHIVI

Fin dalla fine del XVIII secolo, gli studiosi di tutto il mondo si sono interessati, con grande slancio, allo studio del Mondo Antico. La grande “febbre” della allora nuovissima scienza dell’Archeologia, ha portato allo studio di epoche antiche, che fino allora erano rimaste sconosciute. Per primi si sono distinti gli Europei, inglesi, tedeschi, francesi, italiani, a cui poi si sono aggiunti gli Americani con l’invio di numerose missioni di scavo in siti legati alle culture del Vicino Oriente antico: Egitto, Anatolia, Siria, Iran, Palestina, i regni della terra tra i due grandi fiumi, Babilonia e Assiria. Gli interessi si sono approfonditi, con l’estensione dello studio ai territori nord-arabici, dell’attuale Giordania, e alle culture che popolavano le aree del deserto Arabico fino nel cuore dell’odierno Yemen, ove sono stati scoperti e studiati i Regni Arabi dislocati e difesi naturalmente dai guadi delle zone montuose del luogo.


bassorilievo egizio, posta in rilievo, schiavi ramessiti che si prostano in ginocchio supplicando il faraone secondo la ritualita’ verso la divinita’


Le prime spedizioni, articolate ed organizzate in maniera autonoma da privati, hanno operato attraverso scavi privi di ogni metodologia archeologico-scientifica, essenzialmente tesi alla ricerca di antichi tesori o ritrovamenti celebri ispirati dalle antiche letterature. In effetti, in molti siti, gli scavi sono stati condotti, per così dire, senza un criterio scientifico, come semplici sterri e trivellazioni, come e’ accaduto, ad esempio a Cipro, in una frenetica ricerca del rinvenimento clamoroso Per molti anni, la ricerca è servita ad arricchire dapprima collezioni private, e poi i più importanti musei del mondo, indipendentemente dal luogo di scavo, giacchè non si credeva che i reperti recuperati fossero in qualche maniera bene della civiltà di rinvenimento. Solo tra la fine del XIX secolo e il XX secolo, si e’ venuta a creare una legislatura internazionale per la conservazione dei beni culturali, regolata secondo patti precisi. Questo ha dato luogo a un migliore ordine nella ricerca archeologica, moderando i ritmi di scavo, mediante autorizzazioni fondatamente scientifiche e non meramente intuitive, come in tempi precedenti, e portando le spedizioni archeologiche ad essere inquadrate come “spedizioni scientifiche”.

Il periodo che prendiamo in esame è quello del Tardo Bronzo che è compreso tra il  1550 al 1200 c.a. La definizione archeologica “Tardo Bronzo” è correttamente usata per l’Egeo e la Siria-Palestina, mentre nelle altre aree del Vicino Oriente si usano definizioni propriamente politiche, per esempio ”Nuovo Regno” per l’Egitto, periodo “Medio Assiro” e “Cassita” per la Mesopotamia, etc. Solo la periodizzazione archeologica sembra estensibile a tutto il Vicino Oriente ed è perciò impiegata qui, anche in uno studio di natura politica. Questo periodo nel suo complesso e’ identificato come “età di el-Amarna, dal nome della località che ha resituito un importantissimo archivio, fonte in informazioni  per il Vicino Oriente e tutto il Mediterraneo orientale, attraverso la Siria e la Palestina, l’Anatolia e  l’alta Mesopotamia, fino alla Babilonia e all’Elam. Rispetto alle informazioni fornite per i periodi precedenti agli archivi di Ebla e di Mari. 

La documentazione di el-Amarna puntualizza e chiarisce le gerarchie stabilite all’interno dell’unità regionale, sottolineando una parità convenzionale tra regione e regione finalizzata alla tutela dell’equilibrio di potere esistente. Non e’ un caso che per quell’area geografica la lingua diplomatica usata sia il babilonese e si diffonde l’uso di registrazioni bilingui, tanto per i documenti politici che per quelli giuridici, di interesse interstatali.


In questo quadro si possono distinguere le varie formazioni politiche di dimensione “regionale”: l’Egitto, Hatti, Mittani, Assiria, Babilonia, etc. 

Anche se i processi di sviluppo di ciascuna di esse non sono certo veloci, tanto meno contemporanei. L’obiettivo di questa ricerca e’ quello di verificare gli equilibri a quel tempo formatisi nel Vicino Oriente, quindi per tutta l’area indicata, con pochissimi spazi deboli o addirittura vuoti. Sembra chiaro che nessuno dei regni formatisi aveva la capacità e la possibilità di unificare tutto il Vicino Oriente in un unico impero, e questa ottica si conserverà anche nel millennio successivo. L’unificazione divenne possibile solo dopo il collasso regionale alla fine dell’età del Bronzo , quando una parte di quest’area s’era riconvertita ad una organizzazione di politica di estensione cantonale, dando così agli stati regionali l’opportunità di una ulteriore crescita mediante annessione della loro debole periferia. Per la composizione della specifica natura dei rapporti politici del Tardo Bronzo, è stato fondamentale l’impulso dato dalla scoperta delle lettere di el-Amarna, nel 1887, degli archivi di Boghazkoy, nel 1906, oltre a quelli di Ugarit, nel 1953. Numerosi testi sono stati pubblicati e sono stati oggetto da attenta analisi da diverse angolazioni, che hanno dato luogo alla pubblicazione di diversi libri e approfonditi elaborati scientifici, nell’ultimo secolo. Anche lo studio dei manufatti e dei siti archeologici ha contribuito a ricostruire il livello e le tendenze dei rapporti tra le diverse realtà. Il commercio protostorico è stato oggetto di analisi attraverso metodologie specifiche, le quali ne mettono in evidenza gli aspetti strutturali. Tuttavia , il commercio del Tardo Bronzo viene ancora considerato, per lo più attraverso approcci fatuali, che sostanzialmente non risultano utili al fine di uno studio sull’ideologia. E’ giusto sottolineare, che uno degli elementi importanti e probabilmente privilegiato è la cronologia, dati i molti sincronismi che collegano le cronologie regionali in una griglia unitaria; e molti lavori monografici sono stati dedicati a questo argomento . La scelta di uno schema preciso che dà modo ad una interpretazione dei partecipanti ad un quadro politico non deve risultare arbitraria, ma deve corrispondere quanto più possibile alla situazione effettiva per essere accettabile ed efficace, deve cioè essere radicata nella tradizionale visione del loro paese, nel loro mondo e nella loro cultura.


Un paese come l’Egitto, per la sua compattezza e il suo spiccato isolamento in mezzo a regioni “vuote”, per la sua antica visione centralistica e l’unicità nel mondo, per la sua effettiva unicità e superiorità culturale, sociale, politica e diplomatica, si presenta al mondo già al tempo della prima dinastia come una civiltà completa. I termini di ricchezza, di potenza militare, di risorse demografiche superiore a quelle dei suoi interlocutori, fanno giustamente emergere, la sua superiorità sui suoi interlocutori. I regni asiatici, invece dalle frontiere più aperte e fluttuanti, dall’equilibrio di potere meno stabile di volta in volta ma piuttosto ben bilanciato sul lungo termine, e di carattere multidirezionale, fanno necessariamente uso della visione simmetrica dei rapporti politici.

A questo punto, può sorgere il dubbio o quanto meno l’obiezione che nel suggerire un contrasto tra due schemi si stia semplicemente proponendo uno studio delle due visioni del mondo egiziano e quello asiatico. 

Situazione geografica dei siti maggiori Un elemento da considerare con attenzione e’ il grande sviluppo diacronico delle relazioni politiche che determina grandi differenze. Riflettendo: forse Ramses II° era più disponibile di Tuthmosi III° ad una visione più ampia e di reciprocità, solo perché era militarmente pari agli Hittiti, mentre il secondo era militarmente superiore a Mittani. Certamente, non basta la crescita di Hatti e dell’Assiria a formazioni imperiali per spiegare gli elementi centralistici nella loro visione del mondo. E tutto sommato, le dichiarazioni contenute nei testi non potrebbero spiegarsi solo mediante dinamiche propriamente politiche, senza far ricorso all’ideologia e alla semiologia. Ora il fattore geo-politico è innegabile, ed è stato preso in considerazione, di norma come unico fattore; anche il fattore diacronico è facilmente comprensibile. Ma le differenze più significative, e il carattere più convenzionale nell’uso degli schemi interpretativi, sono rilevati nel mettere in contrapposizione testi di diversa tipologia ma appartenenti allo stesso paese e allo stesso periodo. Come in un esperimento organizzato, si debbono azzerare alcuni fattori, quali quelle di tempo e di spazio, per controllare per l’importanza del fattore oggetto di studio. Il risultato di una simile prova indica che la divisione fondamentale risiede tra due serie di documenti, con le rispettive differenze di destinatari, di scopi, di carattere. Da un lato abbiamo documenti indirizzati al pubblico interno, che vanno dalle iscrizioni regie di carattere monumentale alle iscrizioni funerarie private, ma che hanno in comune lo scopo celebrativo, la sottolineatura del prestigio, la visione centralizzata, il disinteresse per il punto di vista del mondo esterno e degli interlocutori esterni. In questi testi gli avvenimenti sono utilizzati come materiale documentario o probatorio per stabilire la posizione politico-sociale di chi li aveva scritti; questo a tutti i livelli, dal controllo ideologico ed amministrativo del faraone sul suo regno, al rango sociale del funzionario morto.

Dall’altro lato abbiamo documenti indirizzati agli interlocutori esterni, che costituiscono la sostanza operativa stessa dei rapporti interdinastici. Questi testi vanno da trattati internazionali, a lettere scambiate tra privati, ma hanno in comune lo scopo integrativo, la sottolineatura dell’interesse, la sua visione simmetrica, la visione dal punto di vista dell’interlocutore, tanto più in quanto lo scopo è di modificarlo o di vincerlo. Le due situazioni sono ovviamente interconnesse. Un solido prestigio interno è necessario per negoziare da posizione forte ed inespugnabile, e un esito positivo del negoziato aumenta il prestigio interno. Ma si tratta di due momenti fondamentalmente distinti, e che richiedono una diversa percezione della realtà. Proporsi lo scopo di ricostruire un insieme di valori piuttosto che un insieme di dati storici specifici, ponendo l’enfasi sulla sua struttura piuttosto che sugli avvenimenti, non significa un disinteresse per la storia, e per la storia politica in particolare. In fondo e’ necessario conoscere ogni singolo codice per comprendere il singolo messaggio, sembrerebbe opportuno riferirci alla ricostituzione di una grammatica per poterne leggere un testo. Il nostro studio è da approntare: analogamente, innanzi tutto dobbiamo recuperare l’ideologia politica complessiva, ardua impresa, per poi capire veramente gli avvenimenti politici. Una volta scelto il Tardo Bronzo quale periodo particolarmente adatto per l’analisi, i limiti temporali e spaziali sono stati lasciati piuttosto fluttuanti, in rapporto alla documentazione disponibile. Riguardo allo spazio, il grosso dei dati viene da Egitto, Siria-Palestina, Anatolia centro orientale, Alta Mesopotamia. La Babilonia, che era un elemento fondamentale del sistema, e’ piuttosto sottorappresentata proprio perché la documentazione che ne proviene e’ di scarsa validità ai nostri fini. E’ stato utile allargare il quadro ed includere da un lato il mondo miceneo e dall’altro l’Elam, ma la documentazione su queste regioni è ancora meno adatta al nostro tipo di analisi. La disposizione spaziale di iscrizioni reali, lettere, trattati consegue alla distribuzione dei centri politici interagenti . E la stessa disponibilità della scrittura è distintiva dei paesi che avevano raggiunto un livello culturale e organizzativo tale da essere accettati come interlocutori del sistema regionale. Analoghe considerazioni pratiche, ma sostanzialmente motivate, si applicano ai limiti temporali. L’inizio e la fine del Tardo Bronzo coincidono con due età dette “oscure”, in cui la qualità dei documenti diminuisce sostanzialmente, e in alcune zone essi scompaiono del tutto. Ciò vale soprattutto per la fine del periodo, coi sommovimenti all’inizio del XII secolo che non ci offre, alcun documento scritto in Anatolia, Siria e Palestina. Si possono considerare in tal senso, i regni più protetti di Egitto, Assiria, Babilonia che mantengono i loro livelli scribali e organizzativi, anche se c’è da sottolineare un grande calo a livello di contatti internazionali. Altro problema è quello della differenziazione dell’ideologia per strati socio-economici. Non sappiamo, quasi nulla delle ideologie politiche e della visione del mondo diffuse nelle classi inferiori, almeno per il periodo qui considerato; e tutto quello che ci giunge è molto filtrato dai testi della classe dirigente.


CAPITOLO SECONDO

IL CONCETTO DI SPAZIO E CONFINE NEL MONDO ANTICO

Il nostro concetto di spazio e di confine nella mentalità moderna è il riferimento a elementi certi e determinati; questa non è solo un’astrazione moderna, ma è una astrazione adatta solo a determinati campi di analisi. La percezione qualitativa dello spazio è basata su determinate percezioni psicologiche, sicuramente accentrate nel senso di tutela, e sicurezza.

Queste realtà sono state analizzate anche in un passato recente da diversi punti di vista. L’incontro e lo scontro con il pensiero e con la “teoria del pensiero” mitico, o comunque col pensiero primitivo trovano spazio anche negli studi del Vicino Oriente antico .

E’ da sottolineare la denuncia del pregiudizio a lungo diffuso: tutto ciò che si applichi alla mente “primitiva” o “arcaica”, non è da considerare, nè infantilenè tanto meno anormale, in contrapposizione al nostro pensiero normale e razionale, il che risulta una idea mitica . Detto ciò, una volta rimosso questo pregiudizio, le analisi del “pensiero mitico” mantengono un notevole valore euristico, e sono infatti ancora di uso corrente in fenomenologia della religione e analoghi campi di studio . Non è tanto una questione di comportamento pratico, quanto piuttosto una questione di rappresentazione simbolica della realtà, dunque un sistema di valori. Dall’esposizione che precede, l’opposizione tra centro e periferia può percepirsi a vari livelli, e l’influenza è più o meno grande su tutta l’organizzazione sociale . E’ evidente un livello di rapporti personali rientranti nella “casa” e nella “famiglia”; da questo emerge un livello di comunità locale, non distante dagli elementi predetti, ma neanche estremamente vicino, che include persone e luoghi di frequentazione quotidiana e è un’applicazione più vasta all’unità nazionale o culturale. La persona di un gruppo che ha in comune la lingua e i valori, con essa strettamente legati, le usanze e le procedure, che e’ inserita nello stesso sistema amministrativo, economico, politico tende a valutare il suo territorio come diverso dalle zone circostanti. La differenza appare persino nella terminologia: in sumero il paese interno è “Kalam”, mentre le terre o comunque le montagne circostanti sono “Kur.Kur” . In egiziano la vallata del Nilo è “ t’ “ , mentre i tavolati circostanti sono “ h “, “ s’wt “, la terra agricola scura è “ kmt “ mentre la steppa rossastra è “ dsrt” . Un’ analoga contrapposizione tra la “nostra” popolazione interna e i popoli stranieri sembra essersi sviluppata piuttosto nell’età del ferro , quando gli stati “nazionali” subentrarono a quelli “territoriali” dell’età del Bronzo .

La cultura degli stranieri è vista come manchevole degli elementi propri del mondo civile, come nello stereotipo mesopotamico dei nomadi che “non hanno e non conoscono cosa, città, grano etc., in definitiva, il “giusto “; come in un inno reale Ramesside, dove gli asiatici sono “coloro che arano d’estate e mietono d’inverno” . Pertanto sarà necessario, almeno, analizzare due argomenti: la lingua quale elemento qualificante della cultura, e l’acqua come elemento essenziale alla vita. Nell’ambiente scribale di età Ramesside, certamente si tratta di stereotipi molto antichi; l’educazione dei bambini, l’assimilazione degli stranieri e l’addestramento degli animali sono in qualche misura unificati, con riferimento contrastivo alla cultura dell’egiziano maschio, adulto, educato. Le iscrizioni di “Ani” forniscono un quadro più dettagliato: “il leone selvaggio depone la sua furia, e assomiglia al timido asinello. Il cavallo dorme nella sua bardatura, e obbediente esce all’aperto. Il cane obbedisce alla madre che non lo faceva. L’oca torna dallo stagno, quando si viene a chiuderla nella stia. Si insegna al Nubiano a parlare egiziano, e anche al Siriano e agli altri stranieri”

La stessa prospettiva si ritrova nelle miscellanee scribali: “ La scimmia capisce le parole, eppure viene dalla Nubia” . La difficoltà per la scimmia è parlare l’egiziano, ma bisogna ricordare che “la lingua egiziana” è letteralmente “la lingua umana”, per cui la difficoltà della scimmia deriva non dal suo essere animale, ma dal suo venire dalla Nubia: certamente è da presumere che le scimmie normalmente capiscono e forse parlino il nubiano. Comunque, per il pensiero e le considerazioni del tempo, animali e stranieri possono imparare l’egiziano, mentre la loro lingua originaria è fisicamente divisa, è “rovesciata” rispetto a quella umana egiziana. Il caso dell’acqua è simile: se mai si incontrasse un fiume straniero, di grandezza e portata come il Nilo, come certamente è il caso dell’Eufrate, a parte la sua valenza cosmologica come confine, lo si qualifica come “acqua rovesciata”, dato che la sua direzione è contraria a quella giusta, proprio come la lingua straniera è “rovesciata” rispetto all’egiziana. Spostando l’attenzione al concetto di territorio definito da un eventuale confine che se vogliamo, visto che il proprio regno è il mondo è “il confine del mondo”, il contenitore, la definizione di un’area di dominio diventa una definizione di confini:l’impero universale è uno stato i cui confini politici coincidono con i confini del mondo.

Il concetto di “confine” è piuttosto complesso, nell’ideologia antica e moderna. Leggendo testi del Tardo Bronzo si potrebbero evidenziare alcune opposizioni fondamentali: confine lineare e di zone, fisso e mobile, ovvero statico e dinamico, monodirezionale o reciproco; queste concezioni diverse del confine, in effetti sono pertinenti alla visione centralistica o a quella reciprocativa. La differenza del concetto trova espressione in una  differenza lessicale, 

anche se non corrente o non coincidente con la nostra terminologia e con il nostro quadro sostanziale. In egiziano, in particolare, la terminologia del confine è imperniata su due termini dei quali è stata sottolineata l’opposizione: “t’ “ , il confine reale e “s “ il confine politico, flessibile e mobile, mentre “drw” è il confine mitico “ che appartiene alla struttura del cosmo” . Altrettanto diffusa è la convinzione che la terra termini al circuito dell’oceano. Amenofi II° dichiara esplicitamente: “Egli (il dio Ammone) mi ha affidato ciò che è con lui, ciò che l’occhio del suo ureo illumina, tutte le terre, tutti i paesi, ogni circuito, il grande circuito (l’oceano) .

E’ significativo, per quanto riguarda l’Egitto, che quando Tuthmosi I° e Tuthmosi III° raggiunsero l’Eufrate, considerarono, dal loro punto di vista “ il grande fiume che scorre a rovescio” come un conveniente sostituto dell’oceano cosmico, e celebrarono l’aver raggiunto la fine del mondo mediante l’erezione di una stele. Per quanto detto, si replica la concezione dello spazio determinato e determinando, con l’apposizione della stele, la fine del mondo, la fine dello spazio conosciuto. Negli annali di Tuthmosi III°, si ricorda l’impresa di entrambi i re: “Eresse una stele ad est di quell’acqua, una seconda accanto alla stele di suo padre, il re dell’Alto e Basso Egitto, Tuthmosi I° “ . Risulta più dettagliata la stele del “ Gebel Barkal “ : essa stessa un monumento celebrativo eretto nel punto più a sud del paese, e nel contesto del raggiungimento dell’estremità nord:

il re [….] attraversò l’Eufrate dietro colui che lo aveva attaccato, alla testa delle sue truppe, inseguendo il miserabile nemico del paese di Mittani, che fuggì impaurito davanti a Sua Maestà verso un altro paese, un posto lontano. Allora la Mia Maestà eresse la mia stele su quella montagna di Naharina, scolpita nella roccia sul lato orientale dell’Eufrate . Il re, in testa alle sue truppe, quasi in un rituale, attraversa il fiume, fatto notevolmente sottolineato nell’impianto scenografica dell’episodio, non solo per assicurarsi il vanto della priorità, ma nell’intento di far comprendere che i soldati non si sarebbero mai avventurati in un tal arduo passaggio se non fossero stati rassicurati dal dio in persona, “il faraone”. Pertanto il confine estremo, a questo punto, è raggiunto, delineato e grazie alla grandezza del re (il faraone) è stato addirittura superato. La linea del fiume Eufrate non è a portata; un altro fiume ha, a questo punto, le stesse valenze cosmiche, ben sapendo tutti che altri territori si estendono oltre, anche se l’erezione di una stele vuole conferire a un’azione priva di risultati un valore ideologico: “Sua Maestà attraversò il corso dell’Oronte….. Sua Maestà alzò il braccio per vedere la fine del mondo ”. Pertanto, fissati i due punti estremi del mondo, mediante l’apposizione delle ”ufficiali stele”, i faraoni affermano ancora più pienamente il controllo universale. Nella stele di “Armant” di Tuthmosi III°, dove i ribelli di Naharina vengono contrapposti a quelli di Nubia, e la stele eretta sull’Eufrate alla stele sull’Alto Nilo, leggiamo: “Uccise 120 elefanti nel paese di Niya, tornando da Naharina. Attraversò l’Eufrate e distrusse le città sulle sue sponde, bruciate per sempre. Eresse una stele di vittoria sulla riva est [….] Prese rinoceronti con le frecce, nel paese meridionale di Nubia, quando andò a Miu alla ricerca dei ribelli di quel paese. Eresse una stele come aveva fatto sul confine di Naharina ”. Il quadro delle concezioni, dei simboli, dei pensieri e delle volontà è chiaro, quel che resta oltre i confini della conoscenza è irrilevante. Al di là del confine delimitato, ultimo confine del mondo conosciuto, sia esso un fiume, un deserto, o una catena montuosa, non è importante, ci saranno senza dubbio, terre e genti : “ma finché non le conosciamo noi, restano incapaci di esistenza propria”.

CAPITOLO TERZO

L’AFFERMAZIONE DI DIVERSI “ STATI ” “POLITICA E DIPLOMAZIA”


E’ assolutamente rigida questa concezione centralizzata , che può adottare solo l’isolamento, e in ragionevole conseguenza condizioni di mercato culturale sbilanciato, fino a quando non entra in contrasto con altre analoghe e concezioni che hanno il loro centro altrove. Esemplificando in una analisi: l’ovvio sfondo politico, una protezione e un aiuto che potrebbero diventare un protettorato e una tutela sono presentati come un contrasto fra un comportamento pienamente integrato nella tradizionale rete di reciproche fratellanze e protezioni, e un’azione autosufficiente e svincolata.

Analizzando il comportamento assiro si vede come esso passi da un’esperienza di sottomissione, a una recente crescita che lo proietta verso una maggiore affermazione. Dal punto di vista odierno, e’ facile comprendere, ben si sa cos’era l’Assiria e cosa effettivamente divenne. Dal canto loro , al tempo dell’ascesa assira i re hittiti erano buoni “profeti” nel preoccuparsi che il regno “ultimo arrivato” non si accontentasse di essere entrato nella ristretta cerchia dei grandi monarchi, ma avesse intenzione di espandesi di più, con il rischio di far collassate l’intero sistema. E’ un fenomeno ricorrente quello che ritarda il riconoscimento di nuove potenze, e si determina il ritardo e la perdita di rango dei regni sconfitti. Almeno in teoria Shuppiluliuma dimostra la buona intenzione e volontà di serbare per Mittani uno “status” speciale : “Avendo sostenuto di mia mano Shattiwaza, figlio del re Tushratta, lo farò sedere sul suo trono paterno. E per far sì che Mittani, che è un grande paese, non sia distrutto, il grande re, re di Hatti, farà vivere il regno di Mittani […] Io, il grande re , re di Hatti, ho fatto vivere Mittani che era morto, e l’ho rimesso al suo posto Il regno di Mittani rappresenta un sostegno potente ai bisogni del regno Hatti, per tenere lontano dall’Eufrate l’Assiria, ormai cresciuta e potente. Ma il trattamento privilegiato viene motivato con il precedente rango di Mittani quale “grande regno”: altrimenti l’annessione o la sottomissione a tributo sarebbe stata assai più brusca, come era abitudine per piccoli regni già sottoposti a qualche grande potenza.


Una simile cautela era stata usata anche quando Kizzuwatna era stata sottomessa, questo è stato possibile attraverso un intervento diplomatico più che militare. A suo tempo, anche Kizzuwatna era stato un “grande regno” al tempo di Ishputahshu, e una lunga tradizione di trattati fra Hatti e Kizzuwatna copre tutto il periodo del XV° secolo . Un altro caso degno di nota è quello di Aleppo, il ricordo di un grande rango del “grande regno” nell’età di Mari, quando si chiamava Yamhad, era vivo ancora tre secoli dopo. Il ricordo non è sbiadito nè inoffensivo; è la fonte di reali preoccupazioni, poiché una politica attiva ed autonoma e al caso espansionistica, mentre sarebbe impossibile per i piccoli re, potrebbe essere legittima e naturale per un regno che era stato già “grande”e che potrebbe diventarlo di nuovo: “In tempi passati i re di Aleppo detenevano la posizione di grandi re. Hattushili il re di Hatti, pose fine alla loro regalità [….] in futuro la regalità di Aleppo non si espanda a spese del re di Hatti ”. C’è qui un attardarsi del ricordo di Yamhad da parte dei due re di Hatti, che progressivamente eliminarono il regno di Aleppo; ma nel medesimo tempo consentirono la crescita di Karkemish, regno ancora privo di tradizioni, per dover poi accorgersi, senza dubbio, troppo tardi che questo regno stava davvero “diventando grande a spese del re di Hatti”. Caso analogo accade anche con Tarhuntasha, per un certo periodo capitale sotto Muwatalli, e poi assegnata da Tudhaliya, erede dell’usurpatore Hattushili ai discendenti di Muwatalli, con un rango paragonato a quello di Karkemish In un sistema policentrico, il mutamento di rango politico produce turbamento, tra l’altro il sistema policentrico è tendenzialmente oligopolistico e in tale stato di cose il fenomeno è più sentito. Il turbamento è parte del sistema, è teoricamente accettabile anche se praticamente pericoloso; mentre per l’ideologia centralizzata nessun mutamento del genere sarebbe ammesso, essendo in contraddizione col sistema stesso. Lo svolgimento delle cose che abbiamo illustrato, produce un fondamentale contrasto di opinioni, almeno in certe regioni e per certi periodi, riguardo ai rapporti con i piccoli re, con piccoli regni, a un certo tipo di loro azioni politiche, certamente non a danno dei loro signori, ma piuttosto sotto forma di accordi definiti di solito mediante trattati, e contro terzi stati.

Emerge un documento molto importante, che è poi il più interessante in questo groviglio di teorie diverse: è la lunga lettera-memorandum scritta da un re ittita a Madduwatta, un re suddito che aveva agito troppo liberamente nel complesso settore dell’Anatolia sud-occidentale . Da questa si apprende che, benché Madduwatta non avesse direttamente minacciato la sovranità ittita, o fosse disposto a ritirarsi immediatamente. La sua attività espansionistica non è apprezzata dal re di Hatti, che anzi, la disapprova profondamente, ritenendo la disponibilità al ritiro delle forze, un atto di codardia anziché di sottomissione.

Pertanto la teoria ittita è che Madduwatta ha ricevuto dal suo signore certe  terre da governare, e non deve oltrepassare i confini assegnati. Mentre la teoria di Madduwatta è che egli è libero di agire, come monarca indipendente, purché rispetti i territori assegnati a suo  tempo, rispetto ai territori del re ittita.
Da quanto leggiamo risulta  chiaro che Madduwatta ha conquistato Hapalla, Yalanti, Zumarri e Wallarima; in effetti Hapalla era territorio ittita, le altre tre terre non lo erano. Tutto ciò non può essere accettato da sovrano ittita, che protesta e di conseguenza, Madduwatta restituisce Hapalla e trattiene le altre tre terre. Pertanto, sembra di poter osservare quali erano i tenori di convivenza tra piccoli regni, gli equilibri più o meno stabili che si venivano a creare, nel quadro di una rete di alleanze politiche che si davano forza attraverso la diplomazia. 

Altro caso, degno di nota è quello di Alashiya, l’odierna isola di Cipro; troviamo sempre al centro della questione Madduwatta che si impegna ad appurare se il territorio dell’isola “appartiene al sole”, oppure no; mentre il monarca ittita ritiene lo status dell’isola irrilevante e la condotta di Madduwatta illegittima in ogni caso. Va precisato che la posizione del re ittita nel ritenere irrilevante lo status dell’isola, segue un criterio, che è valido anche per qualunque altro monarca suoi pari, in quanto essi sono realmente “indipendenti” mentre, al contrario, Madduwatta è servo del sole . il sovrano è responsabile verso i suoi pari: potrebbe subirne le ritorsioni, o potrebbe essere costretto a rinunciare alla sovranità teorica su certe zone; pertanto non può ammettere attività di aggressione che intacchino le diverse sfere di dominio. Qui si è considerato il meccanismo socio-politico che al tempo dava vita alle regole del potere. Certamente, le due opposte “teorie” sono solo argomentazioni retoriche, modi di ragionare accesi e posti in atto al fine di difendere i rispettivi interessi dei protagonisti; certamente questo è il tipo di “teorizzazione” che possiamo trovare nei testi del tempo. Si osserva che in entrambi i sistemi, comunque, lo spazio disponibile per il mutamento è quello della estrema periferia, o comunque, negli interstizi tra diverse sfere di dominio. Se per ipotesi un impero unico coprisse davvero il mondo intero, o se il sistema dei grandi re dovesse spartire tutti i territori tra i suoi membri, senza differenza e in maniera assoluta, senza avanzo alcuno, allora ogni possibilità di movimento sarebbe, ragionevolmente e tecnicamente eliminata. Si consideri un caso concreto, certamente tutt’altro che raro: un re sconfitto, ma vivo, può rifugiarsi come profugo presso il grande re della, così detta, sfera accanto, per poi essere reintrodotto nel gioco politico. D’altro canto,in caso di impero universale potrebbe, fuggire fuori portata in una regione, probabilmente sconosciuta, e “scomparire per sempre” . E’ comunque estremamente interessante analizzare la diplomazia interna ad uno stato, quella internazionale e l’applicazione della stessa diplomazia attraverso i “trattati”, documenti esemplari di notizie certe che forniscono alla storia gli elementi necessari per comprendere il mondo antico e come funzionava.

Da tal punto di vista, avendo preso in esame in precedenza, la civiltà egizia, la ittita, l’assira e la babilonese, ci si rende conto che la civiltà ittita offre, per i nostri interessi, con quella egizia, un efficace “ventaglio” di documentazione archeologica a riscontro di una serie di notizie attestate da documenti ufficiali. Attraverso questa documentazione, si vede come venivano gestiti i rapporti interni allo stato e attraverso una rete diplomatica fittissima, la gestione dei rapporti con stati esteri. Si può così constatare quanta importanza avesse, per un grande sovrano ampliare il proprio territorio e conseguentemente il proprio potere,  sia all’interno che all’esterno del proprio regno, costituendo una vasta e solida rete di alleanze a livello internazionale. 

E’ giusto trattare questo rilevante aspetto dalla politica ittita, sulla base delle prime fonti che sono i primi trattati, editti, verdetti, arbitrati internazionali. Mediante questi, i re regolavano i loro rapporti sia con le potenze loro pari, sia con gli stati assoggettati. Inoltre è da ricordare la corrispondenza epistolare, con cui si consolidavano, e si modificavano relazioni intenazionali . Le notizie importanti si avevano anche da documenti di diverso genere, quali, ad esempio, testi di tipo annalistico, attraverso cui il sovrano che ne era l’autore, descriveva l’attività nel regno, la politica e le attività militari, documenti redatti per un certo periodo di tempo.

CAPITOLO QUARTO

I TRATTATI E ALLEANZE

Di particolare interesse per questo contesto sono i trattati di stato, a partire già dall’Antico Regno . Questi venivano scritti su tavolette in metallo, (argento, ferro, bronzo) e portavano il sigillo regio; nel 1896, al momento del ritrovamento a Bogazkoy della tavola di bronzo contenente il testo completo del trattato internazionale stipulato fra il sovrano ittita Tuthalya IV e Kurunta, re di Tarhuntassa, l’archeologia era sprovvista di questi documenti; fino allora erano note solo copie su tavolette in argilla, a suo tempo compilate per gli archivi palatini e templari, prive del sigillo regio perché destinata alla semplice archiviazione. Del trattato stipulato tra il sovrano ittita Hattusili III° e il faraone egiziano Ramses II° , esistono anche copie della redazione egiziana, in grafia geroglifica, venute alla luce in iscrizioni parietali del tempio di Amon a Karnak e del Ramesseo, oltre alle copie in accadico, lingua diplomatica internazionale del tempo, ritrovate a Bogazkoy (Hattusa). I trattati scritti in lingua ittita, sono per la maggior parte stipulati con sovrani di paesi anatomici quelli redatti in lingua acadica, che come detto in precedenza come detto in precedenza, era la lingua della diplomazia, ovvero bilingui erano stipulati con gli stessi siriani. .

Di questi documenti non abbiamo una definizione uniforme. I testi sono stati tradotti, ma tra gli studiosi sono in corso dibattiti sulle diverse tipologie e sui loro significati di fondo.

I trattati internazionali potevano essere di diverso tipo e scopo; potevano essere di parità cioè stipulati da sovrani ittiti con sovrani loro pari, per importanza e potere; oppure trattati di subordinazione, cioè stipulati con sovrani di paesi assoggettati. Certamente questi ultimi costituiscono la maggior parte dei trattati in nostro possesso. Tra questi se ne distinguono alcuni stipulati dagli Ittiti con paesi considerati, per vari motivi, di particolare riguardo, ma non su un piano di parità. Questi sono detti “trattati di protettorato”, e formalmente sono bilaterali, anche se a un attento esame, emerge la supremazia di Hatti nei confronti dell’altro paese contraente. Tuttavia, nella loro utilizzazione, è sempre necessario tener presente il loro intento. Per tale motivo in essi vengono evidenziati o messi in ombra o anche celati del tutto eventi ritenuti dall’estensore del documento più o meno utili, e in taluni casi addirittura nocivi, allo scopo ed uso prefisso. Quindi, per verificare l’attendibilità di queste introduzioni, sarebbe importante poter confrontare situazioni ed eventi in esse esposti con gli stessi fatti raccolti in altri documenti del medesimo o di differente tipo . In essi si propone innanzi tutto una introduzione in cui si stabiliscono gli accordi e gli impegni delle due parti contraenti mediante clausole di origine diversa. Nelle clausole di origine politica vengono definiti i rapporti non solo tra i due stati contraenti, ma anche, in molti casi, tra loro ed altri paesi stranieri. Nelle clausole di ordine militare, si stabilisce, fra l’altro, anche l’entità e il tipo di forniture di aiuti militari, in caso di guerra. Nelle clausole di ordine economico si decide, ad esempio, l’entità del tributo che deve pagare al re ittita il sovrano subordinato e talora anche la politica economica di questo nei riguardi di paesi stranieri, come ad esempio la regolamentazione del commercio estero. Nelle clausole di ordine giuridico si riconosce al re ittita la facoltà di giudicare il comportamento del sovrano subordinato e le sue eventuali colpe sia nei riguardi del Grande Re di Hatti sia di sovrani di altri paesi. Di particolare interesse sono le clausole relative all’estradizione dei rifugiati, sia di posizione sociale elevata, per lo più rifugiati politici , sia di basso ceto, generalmente debitori insolventi che fuggivano in terre straniere per non divenire schiavi. Nella maggior parte dei casi, a conclusione dei trattati di vario tipo si trova un lungo e dettagliato elenco delle divinità dei due paesi contraenti . Si invoca poi la maledizione divina per chi violerà tale accordo e la benedizione per chi lo rispetterà. Si stabilisce inoltre che nel paese assoggettato l’atto venga letto periodicamente ad alta voce. Talora è indicato anche il nome dello scriba del documento. I trattati nella loro stesura definitiva erano sigillati dal sigillo regio . Per quanto riguarda gli stati subordinati, emerge dai trattati di subordinazione, lo stato di dipendenza dal re di Hatti sia nella gestione della politica estera che nella conduzione della politica interna, che si svolge ben differentemente . L’unico estensore del rapporto era il re di Hatti. Gli stati assoggettati al Grande Re dovevano in forma di sottomissione, giurare fedeltà, obbedienza a lui e a tutta la discendenza reale. Nel caso che uno di questi sovrani avesse contratto matrimonio con una principessa ittita, spettava a lei la posizione primaria regale e alla sua discendenza per la successione al trono. Questo privilegio assoluto, assicurava ad Hatti un nuovo posto nel mondo politico del tempo. Il sovrano subordinato era obbligato all’assoluta riservatezza politica, nel non divulgare mai alcun segreto di stato. La sottomissione implica chiaramente, in caso di guerra, di prestare aiuto militare obbligatoriamente al Grande Re. La sottomissione comportava molti obblighi strutturali per il regno sottoposto. Non poteva avere città fortificate, e a salvaguardia degli interessi Hittiti, politici e militari, oltre che strategici, doveva avere ed accettare guarnigioni nel proprio territorio, avendo anche il compito di controllare il paese dando, in caso di complotto, immediata informazione al Grande Re. La sottomissione comportava in oltre oneri materiali, infatti il monarca doveva pagare al re ittita un tributo annuo , con obblighi sociali che poi sono di sottomissione, come recarsi alla corte del Grande Re per rendergli omaggio. Necessariamente, a seguito di quanto detto il Grande Re teneva il controllo dello stesso subordinato anche nei riguardi dei paesi stranieri. In tal senso si accenna al trattato stipulato da Tuthalia IV con Sausgamuwa di Amurru, in cui ques’ultimo viene obbligato, per motivi strategici, ad un blocco commerciale, allora particolarmente vantaggioso, nei confronti dell’Assiria, chiaramente paese con cui gli Hittiti erano allora in forte tensione. Questo è un esempio, in cui una clausola condiziona la politica estera amorrea subordinandola a quella Ittita . Quanto ad un altro problema, “i fuggiaschi”, si riscontra nei trattati di subordinazione una situazione diversa rispetto a quella dei trattati paritetici, come vedremo in seguito nel trattato fra Hatti e l’Egitto. Il sovrano subordinato doveva restituire al Grande Re chiunque si fosse rifugiato nelle sue terre, mentre il Grande Re, da parte sua non aveva questo obbligo, e i personaggi rifugiati costituivano per lui un utile apporto di manodopera. Uno dei poteri che aveva il re di Hatti era il potere giudiziario, nella sua qualità di supremo giudice di ultima istanza a cui ci si poteva appellare in casi di rilievo sia all’interno che all’esterno del paese di Hatti. Allo stesso Grande Re spettava il giudizio sui sovrani subordinati e al fine di attuare un controllo completo spettava a lui anche appianare le loro controversie interne. E’ degno di nota, un passo del trattato fra Mursili II° e Targasnalli di Hapalla dove si dice che se sorge una controversia tra due sovrani assoggettati, questi non debbono agire precipitosamente e di propria iniziativa, tra l’altro in maniera sconsiderata, ma devono presentarsi al Grande Re, o comunque mandare avanti alla sua regale dignità i Grandi dei rispettivi regni; egli stesso promuoverà i giusti provvedimenti a mezzo di una indagine esclusiva a lui riservata.

E’ particolarmente significativo, in tal contesto un passo in cui si evidenzia la necessità dell’intervento del re ittita per sedare dispute sorte tra  sovrani della Siria settentrionale a lui assoggettati: “Ma se qualche processo diviene troppo difficile e voi non siete in grado di dirimerlo, allora portatelo davanti al Mio Sole, e il Mio Sole lo dirimerà “ (KBo III° 3+ III° 29’-33’) . 

I trattati sono anche il mezzo per illuminare storicamente le concezioni giuridiche e i costumi di certi paesi stranieri e la posizione degli Hittiti a tal riguardo. E’ storicamente riscontrato che gli Hittiti lasciavano ai paesi sottomessi le loro proprie usanze, le proprie leggi, le proprie amministrazioni locali ed il proprio culto . Questo non accadeva sempre, il Grande Re, però, interveniva quando i costumi erano troppo diversi da quelli di Hatti e potevano determinare di situazioni di estrema gravità. Si ricorda in proposito il trattato stipulato da Suppiluliuma I° con Haqqana e la gente di Hayasa, in Anatolia nord-occidentale . In questo passo, il Grande Re, dopo aver concesso sua sorella in sposa a Huqqana, si rivolge a lui dicendogli che, avendo la sposa molte sorelle di stirpe e di seme, ora anche egli le ha acquistate come sorelle, in conseguenza del matrimonio. Ricordiamo che in Hatti vigeva la solenne regola per cui un fratello non può unirsi sessualmente alla propria sorella o cugina: una trasgressione del genere veniva punita con la morte. Ma nel paese di Hayasa, considerato per questo incivile, ciò era permesso, e il Grande Re diffida Huqqana dal fare questo e gli chiede di impegnarsi a mezzo di giuramento a non compiere tali atti . Al di là di ogni limitazione imposta al sovrano subordinato, il nega di mantenere il rango, il prestigio per se per i suoi Grande Re discendenti, assicurandogli protezione e difesa verso i nemici esterni. Vista la faccenda, per comprensibile spirito di conservazione, gli stati più piccoli e deboli rispetto ad altri, preferivano affidarsi alla protezione di stati più forti e stabili, al fine di non rimanere schiacciati e facile preda tra conflitti delle grandi potenze. E’ emblematico ricordare che, in caso di indebolimento o a seguito di gravi insuccessi di una di queste potenze, i sovrani ad essa subordinati tendevano a distaccarsi e a chiedere di conseguenza sostegno altrove, dove la forza di potere appariva vivida e concreta. Questa situazione risulta particolarmente chiara negli stati siriani, situati tra due grandi potenze egemoniche, l’egiziana e l’ittita, spesso fluttuanti nel dover scegliere l’alleanza con l’uno o con l’altro stato. Rimane evidente l’esempio dello stato di Amurru che nel decorso storico ha cercato sempre, significativamente, di stare dalla parte dello stato più forte . Chiaramente, di fronte ad una condizione del genere, il Grande Re tendeva ad innescare meccanismi diplomatici al fine di legare a sè gli stati alleati, in qualunque forma, attraverso la diplomazia la politica dei matrimoni interdinastici. Certamente tale diplomazia era esercitata con stati a cui valeva la pena legarsi formalmente. Tra l’altro, questa politica prevedeva una certa mitezza a fronte ed in occasione di delitti. Interessante è la fase tecnica della successione contrattuale in caso di morte del re, in cui l’erede ne prendeva il posto. Il Grande Re non manteneva la medesima contrattazione precedente, i tempi e le situazioni politiche mutavano, pertanto il Grande Re adeguava al nuovo sovrano erede un nuovo trattato, anche totalmente mutato rispetto a quello precedente.

Accadevano anche contrasti più o meno gravi per la successione al trono, fatto da doversi ritenere rigorosamente interno alla politica dello stato assoggettato; il Grande Re poteva intervenire direttamente e mediare tanto per diplomazia che per politica, ma sicuramente  per autorità di regno dominante.

Interessanti risultano i trattati di protettorato”, cioè atti dedicati a paesi posti “sotto protezione” ittita. Differentemente dalle situazioni precedentemente trattate, gli stati con cui venivano stipulati sembra che abbiano goduto di una certa indipendenza politica, anche se qualche restrizione nei trattati era menzionata. Tra l’altro non erano sottoposti a pagare alcun tributo al re ittita, e ciò nel complesso li faceva apparire quali alleati. Possiamo ricordare il trattato di “protettorato” fra Tuthalya II° e Sunassura di Kizzuwatna e quello fra Suppiluliuma II° e Sattiwaza di Mittani. Il primo, in un primo tempo era stato ritenuto come “paritario”, ma più approfonditi studi hanno messo in luce la differenza sostanziale più che formale, tra questo trattato e quelli conclusi precedentemente da Hatti e Kizzuwatna . Sunassura era stato per qualche tempo tributario di Mittani e poi, con l’alleanza politica ittita e il successivo mantenimento della sua sovranità, era stato indotto alla ribellione nei confronti degli Hurriti. Gli httiti sapevano condurre bene la loro politica attraverso la loro eccellente diplomazia, sapendo utilizzare a loro vantaggio la necessità che Sunassura aveva dalla loro alleanza. In effetti, sebbene le prescizioni del trattato che si esamina possano apparire secondo un principio di reciprocità, ci sono elementi che mostrano inequivocabilmente la superiorità di Hatti. Anche se può sembrare che ai due contraenti dell’atto, libertà nella politica delle loro alleanze, viene tuttavia vietato a Sunassura di avere rapporti diplomatici con Mittani . Si possono sottolineare i benefici che il sovrano “protetto” ha ricavato dall’alleanza con Hatti, si evidenziano però anche le subordinazioni a questo paese. Nel trattato in questione, si nota che gli Hurriti chiamano Sunassura un “suddito….uno schiavo”, mentre il Grande Re ittita ne ha fatto un vero re. A Sunassura, spettano e sono riservati privilegi presso la corte ittita: quando si reca dal sovrano, egli al cospetto del Grande Re, può “guardarlo in faccia”; inoltre la sua presenza a corte, già dall’arrivo è oggetto di riverenza, i Grandi di Hatti si levano in piedi in segno di profondo rispetto . La sua presenza è libera avanti al Grande Re, ovviamente per presentargli omaggio, ma questo è un atto “spontaneo” di cui Sunassura, come detto, ha facoltà libera, mentre per gli altri subordinati, sembra essere un atteggiamento riverente obbligatorio e vincolante. Era chiaro che non c’era reciprocità in questo tipo di invito. Nel caso in cui Sunassura non voglia presentarsi avanti al Grande Re, sarà questo stesso, e non Sunassura, a designare quale dei figli di quest’ultimo potrà sostituirlo nella eventuale visita. Si specifica in questo stesso paragrafo che Sunassura non dovrà pagare alcun tributo ad Hatti, mostrando in tal modo che egli non è considerato come un suddito di questo paese.

Dal trattato fra Suppiluliuma I° e Sattiwaza , risulta ancor più evidente la superiorità di Hatti. 

Dall’esame dei due testi, sia sul piano del contenuto che su quello linguistico, appare chiaro come il contratto fosse stato compilato solo attraverso la cancelleria ittita. Anche qui, come in tutti i trattati di subordinazione, risulta evidente l’importanza dell’intervento del Grande Re ittita al fine di porre Sattiwaza sul trono di Mittani: a tale scopo la sezione dedicata agli antefatti “storici” di entrambe le versioni è estremamente diffusa. Risulta emblematico l’ampio racconto di Sattiwaza, nella redazione di parte mittanica, a proposito della sua visita a Suppiluliuma I° per richiedere l’aiuto finalizzato a tornare sul trono di suo padre, usurpato da Suttarna (III°). Emerge la benevolenza di Suppiluliuma I° in quella circostanza e la sua sincera lealtà nei sui confronti; il Grande Re lo ha preso nella sua mano e si è rallegrato con lui; quindi gli ha detto: “Io [ti] sosterrò/starò vicino, io ti farò sedere sul trono di tuo padre. E gli dei conoscono il Mio Sole Suppiluliuma, il Grande Re, il re del paese di Hatti, l’eroe, l’a[mato] dal dio della Tempesta. Una parola che esce dalla sua bocca non torna indietro”. In effetti il Grande Re mantenne la parola, pose Sattiwaza sul trono di Mittani, ed inoltre gli dette sua figlia in sposa. Si legge poi nella redazione parte ittita:” Io, il Grande Re dissi così:il dio della Tempesta ha deciso il suo (=di Sattiwaza) caso legale”. E’ importante sottolineare nel testo il richiamo all’intervento divino, allo scopo di legittimare l’azione di Suppiluliuma e l’ascesa al trono di Sattiwaza : questo, secondo il testo, era stato scelto dal dio perché ritenuto da lui meritevole del compito affidatogli . Nel suo discorso, continua ancora Suppiluliuma (Ro 56-8) : “ Dopo che ioi avrò preso nella mia mano Sattiwaza, figlio del re Tusratta, lo farò sedere sul trono di suo padre, cosicché il paese di Mittani, il grande paese, non vada i[n m ]alora. Io, il Grande Re, il re del paese di Hatti, ho fatto tornare in vita il paese di Mittani a causa di mia ( ! ) figlia. Io ho preso nella mia mano Sattiwaza, figlio di Tusratta, e gli ho dato mia figlia in moglie”. Per quanto si espone testualmente in precedenza, si nota in alcuni passi, l’azione di Suppiluliuma di “prendere nella mano” Sattiwaza; questa è una frase spesso ricorrente anche in altri testi ittiti per indicare il conferimento della regalità ad un sovrano subordinato da parte del Grande Re ittita . Anche nel trattato in esame si stabilisce che alla figlia del Grande Re ittita, andando in sposa a Sattiwaza, spetta il diritto di divenire regina di Mittani e solo la discendenza di lei ha il diritto alla successione al trono . Si nota che la insubordinazione non viene neanche presa in considerazione, come non viene neanche contemplata la possibilità che un sovrano ittita possa mancare agli impegni presi; presumere che, nella sostanza, si intendesse in tal modo soprattutto tutelare il sovrano ittita da ogni punizione divina, nel caso di violazione da parte sua. Una posizione particolare assumono i cosiddetti regni di “appannaggio”, ovvero quei regni il cui governo era affidato al Grande Re, che a sua volta li lasciava al controllo dei suoi figli cadetti o agli appartenenti ad un ramo collaterale della sua famiglia e comunque a persone di sua stretta fiducia. Questo costituiva per lui una più forte garanzia di fedeltà da parte di questi sovrani, obbligati a riferire ogni fatto al Grande Re, ricordando così di essere di fronte ad una amministrazione centralizzata del regno, oppure poteva servire ad appagare o tacitare, nel contempo, le loro ambizioni personali o eventuali rivendicazioni, a volte anche legittime alla successione del trono di Hatti. Di particolare interesse è il caso di Tarhuntassa, che era stata capitale del regno ittita al tempo di Muwattali e dove Hattusili III°, per motivi di politica interna, e diciamolo, anche per sicurezza delle minacce ai confini, trovò opportuno istituire una regalità nuova, che egli conferì al nipote Kurunta, al quale fu poi riconfermata da Tuthaliya IV.

In qualche caso il sovrano ittita attribuiva a qualche suo diretto figlio il sacerdozio di qualche grande divinità di paesi posti sotto l’influenza di Hatti. Tale ufficialità aveva un valore soprattutto politico, oltre che religioso. Importanti sono i casi di Kantuzzili, figlio o di Tuthalya I° o di Arnuwanda I° , insediato nel sacerdozio di Tessup e di Hepat in Kizzuwatna; o di Telipinu, figlio di Suppiluliuma I°, nominato dal padre sacerdote di Tessup, Hepat e Sarruma in Kizzuwatna, prima di ascendere al trono di Aleppo ed essere nominato sacerdote di queste divinità.

Da ricordare da ultimo Hattusili III°, a cui suo fratello Muwattali II° aveva conferito il sacerdozio del dio della Tempesta in Hakpis , così come Tuthaliya IV°, il quale, va a calcare le orme del padre che aveva avuto e tenuto il sacerdozio del dio della Tempesta di Hakpis, prima di avere la nomina del padre a sacerdote della dea Istar. Certamente, questa carica ha influito positivamente e poteva servire a predisporre la nomina di Tuthaliya alla successione al trono di Hatti . Con il passare del tempo si susseguivano continuamente le assimilazioni di territori e le alleanze con nuovi regni e da questa situazione emerge per il Grande Re il bisogno di un maggior controllo sul regno. L’allargamento dell’impero ittita aveva, pertanto, come conseguenza un allargamento della politica e contestualmente della burocrazia dello stato. Il sovrano si era trovato a dover affidare delicate funzioni ad altre persone di sua fiducia, come detto precedentemente, che facessero parte di un gruppo rispetto e che erano quasi sempre imparentati più o meno strettamente con lui. Del conferimento di tali mansioni a questi e dignitari, abbiamo notizie già dall’Antico Regno . Oltre ai trattati internazionali, si presentano di grande utilità per la conoscenza della politica ittita, altri tipi di documenti, in particolare editti, verdetti arbitrati, economici, amministrativi e giudiziari riguardanti gli stati assoggettati e per regolare i rapporti, non solo con il paese di Hatti. Sono presenti nella documentazione a noi pervenuta, delibere prese dal sovrano per affidare ad un figlio incarichi di rilievo per la gestione del potere in qualche stato straniero, ad esempio il decreto emanato da Suppiluliuma I° allo scopo di nominare il figlio Telipinu come sacerdote di Tesup, Hepat e Sarruma in Kizzuwana . Questa investitura ha importanza non solo dal punto di vista religioso, per la rilevante influenza di Kizzuwatna nel culto ittita, ma anche nella sfera del potere politico e militare. soprattutto, in previsione delle campagne di Suppiluliuma in Siria, trovandosi Kizzuwatna in posizione strategica per accedere a queste regioni. In tale atto si stabiliscono precise norme per definire il comportamento, di Telipinu durante l’incarico, anche per il futuro , dalle quali emerge la sua subordinazione al re di Hatti. Abbiamo anche il decreto emanato da un sovrano la cui identità non è stata individuata con certezza , ma stando ad una ricostruzione dei periodi, gli studiosi presumono che si tratti di Mursili II°. Anche in questo decreto rinveniamo un quadro generale vantaggio di Hatti, giacché esso ha lo scopo di stabilire, anche per il futuro, la posizione cerimoniale presso la corte di Hatti del fratello Piyassili, già nominato dal padre Suppiluliuma I° come re di Karkemis. Si stabilisce così che più grande di questo re sia soltanto l’erede al trono di Hatti ( tuh (u) Kanti): inoltre questo sovrano potrà restare seduto davanti il re ittita, un privilegio considerato come una considerazione di particolare riguardo. Lo stesso privilegio venne concesso da Tuthaliya IV a Kurunta di Tarhuntassa . Ci sono pervenute anche delibere del sovrano ittita relativamente ad altre questioni concernenti gli stati a lui soggetti, come problemi di carattere commerciale , o riguardanti l’estradizione di fuggiaschi . Il re ittita intreccia, come detto precedentemente, suoi sovrani loro pari o di rango inferiore una fitta rete diplomatica non solo per stabilire o incrementare rapporti di tipo diplomatico, militare o economico, ma anche per accrescere, di riflesso, il proprio prestigio all’interno del regno. Gli intensi contatti diplomatici tra le corti del Vicino Oriente si svolgevano mediante l’invio di messaggeri e lo scambio di corrispondenza ed anche di doni, argomento che si approfondirà più avanti, nello svolgimento del presente elaborato. Importante era quindi la funzione del messaggero. Egli aveva anche il compito di ambasciatore e apparteneva, per aver tale delicato incarico, ad un ceto elevato, talora addirittura alla famiglia reale . E’ interessante ciò che Tuthaliya II° scrisse a Sunassura di Kizzuwatna nel trattato sopra menzionato, affinché questo esercitasse un controllo sull’affidabilità del messaggero latore a lui di una tavoletta da parte del sovrano ittita, e cioè confronti se il contenuto della tavoletta corrisponde al dispaccio orale che esporrà il messaggero. Se questi messaggi differiscono, Sunassura non dovrà fidarsi del messaggero, ne tenere conto di quanto questo riferisca .

Al proposito, si ricordi quanto Ramesse II° scrisse nella parte finale di una lettera da lui inviata alla regina Puduhepa, per rallegrarsi del felice esito del negoziato concernente l’invio di una principessa ittita nell’harem del Faraone. Ramesse espose a Puduhepa alcune richieste contraddittorie presentate a lui da messaggeri della corte ittita in nome di Hattusili . La documentazione epistolare ittita pervenutaci è assai numerosa  su un arco cronologico molto vasto, a partire dall’Antico Regno fino alla fine del periodo imperiale, al quale risale di gran lunga maggiore  della corrispondenza di stato.

Ci occuperemo, qui, sinteticamente, solo della corrispondenza “internazionale”, che i membri della corte ittita, il sovrano e gli appartenenti alla sua famiglia e talora anche gli altri dignitari, scambiavano sia con le grandi potenze, sia con gli stati assoggettati ad Hatti. Le grandi potenze che gli Ittiti consideravano loro pari, certamente secondo il loro metro, erano la Babilonia, l’Assiria, Hanigalbat, l’Egitto ed anche Ahhiyawa . La corrispondenza scambiata con i sovrani di questi regni si attiene ad un formulario “stereotipo”, caratterizzato, come accennato precedentemente, da elementi che sottolineano il carattere paritario del rapporto, come i termini ”fratello” e “sorella”. Come si è già osservato, un posto di rilievo nelle relazioni internazionali era tenuto dalla politica matrimoniale, sostenuta da una diplomazia raffinatissima. Chiaramente tale politica era attivata solo tra sovrani di pari rango, e richiedeva, trattative estremamente lunghe, con discussioni sull’entità dei doni da scambiarsi, sul rango della principessa richiesta ed inviata in sposa e sulla posizione, eventuale, che doveva occupare rispetto alle altre mogli del re pretendente e futuro marito . La situazione era largamente semplificata nei rapporti non paritari, più esplicito e più brusco è il tono usato dal Grande Re di Hatti, con il re di rango inferiore al suo, in questo caso, certamente subordinato. Tornando al rapporto paritario, il sovrano a cui era chiesto di concedere una figlia o una sorella in sposa ad un altro sovrano, mostrava dapprima le sue richieste, anche se ancora per pura formalità, probabilmente solo allo scopo di ottenere condizioni sempre più vantaggiose, poiché, dopo un fitto scambio di messaggi, si arrivava alla definizione dell’entità dei beni che il “promesso sposo” doveva inviare alla famiglia della donna e della dote di lei .

E’ questo l’argomento di una lettera probabilmente inviata dalla regina Puduhepa a Ramesse II°  in risposta alle lagnanze di questo per il ritardo da parte della corte ittita nell’invio della principessa a lui promessa come sposa. La regina adduce molte scuse per giustificare il ritardo; si trattava evidentemente di pretesti, forse per inviare al Faraone una dote minore inferiore a quella che egli poteva aspettarsi  da un regno come quello ittita. Per ora possono bastare questi brevi cenni, perché il rapporto tra Hatti e l’Egitto in tema di politica matrimoniale, sarà analizzato ampiamente più avanti, in una  più ampia prospettiva storico-politica, sottolineando.
Passiamo ora ad esaminare trattati paritetici, tra sovrani e potenze del medesimo rango. Essi si basano su un rapporto di “fratellanza” ed “amicizia” e sulla base dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri tra i contraenti. Entrambi i sovrani si occupavano della stesura dell’atto mediante intensi rapporti diplomatici, mentre nel caso dei trattati di subordinazione l’unico estensore del documento era il sovrano di potere superiore.
Sono considerati paritetici i trattati stipulati tra Hatti e Kizzuwatna , pervenuti però in forma frammentaria. Un esempio evidente di trattato paritetico viene offerto da quello tra Hattusili III° e Ramses II° d’Egitto che ci è giunto completo . Gli storici hanno molto discusso sulle cause che hanno indotto Hattusili III° a stipulare un trattato di pace con gli Egiziani, sedici anni dopo la fine del conflitto armato tra i due paesi. Sono da sottolineare nel motivo, almeno due fattori che sembrano evidenti. Innanzi tutto, come accennato in precedenza, l’Assiria era diventata potente ed aveva sottomesso ed assoggettato lo stato di Mittani, aveva indotto il sovrano a stipulare un trattato con il re di Babilonia  Kadashman-Turgu, e dopo la sua morte  ad allacciare rapporti diplomatici con il nuovo re, figlio del monarca defunto, Kadashman-Enlil II°.  Il fatto è testimoniato da una lettera , in cui  il sovrano ittita ricordava al nuovo monarca i buoni rapporti intercorsi tra loro, in virtù delle loro politiche  anti-egiziane, e tra l’altro, l’aiuto conferito al padre, allorquando aveva reso più ferreo il controllo sugli ufficiali di Babilonia affinché il figlio potesse  ascendere successivamente al trono. In questo quadro, di fronte alle divisioni politiche all’interno della corte egiziana, Hattusili, temeva il potente vizir Itti-Marduk-Balatu che era a capo di una fazione  anti-Ittita e pro-Assiria. In secondo luogo, a legittimare il rinnovo dell’alleanza era per il re hittita il desiderio di evitare che il Faraone fosse indotto ad aiutare suo nipote Urhi-Teshup che si era rifugiato, nel frattempo, in Egitto. 

La stesura dell’atto fu preceduta da una serie di lettere scritte in accadico, inviate da Ramses II° che coprivano un buon lasso di tempo, che va dal momento in cui la tavoletta d’argento non era stata ancora inviata a quando il Faraone la ricevette , e a sua volta inviò una tavoletta d’argento probabilmente con l’invito ad Hattusili, a recarsi in Egitto. E’ in nostro possesso anche una lettera relativa al matrimonio di Urhi-Teshub con una principessa babilonese, una mossa molto pericolosa per gli interessi del re ittita perchè come detto, Urhi-Teshub si era rifugiato in Egitto, proprio quando diversi vassalli si erano ribellati ad Hattusili, rivendicando il trono per il nipote quale unico legittimo erede. Poiché la versione egiziana del trattato in realtà rappresenta la traduzione di quella scritta su tavoletta d’argento inviata da Hattusili III°, in effetti è questa la rappresentazione del punto di vista del sovrano ittita. Il trattato ritrovato in tre frammenti nell’archivio di Hattusa, redatto in arcadico lingua diplomatica del tempo, è una copia curata dalla cancelleria ittita della tavoletta in argento che era stata inviata a Ramesse II°. Questo crea indubbiamente un problema linguistico tra l’egiziano e l’arcadico; il nostro interesse si concentra su come la traduzione egizia abbia reso un testo che era stato concepito secondo l’ideologia del sovrano ittita. E’ evidente che lo stesso strumento politico del trattato, e’ un mezzo diplomatico peculiare degli hittiti che lo avevano attuato ed adottato già nell’Antico Regno, mentre, è una prassi estranea all’ideologia del Faraone. Rispetto ad altri trattati ufficiali, questo è l’unico trattato paritetico che e’ difforme, per la sua strutturazione. Di solito, all’inizio di un trattato, dopo un preambolo in cui sono citati i contraenti, si colloca una parte in cui si riferiscono gli avvenimenti precedenti cioè una “introduzione storica”. Diversamente, nella versione accadica non vi è alcuna descrizione degli avvenimenti che hanno condotto alla stipulazione del trattato, nè ci sono notizie riguardo alla data. Al contrario nella versione egiziana il breve preambolo e’ particolarmente rilevante, in quanto ricorda il periodo di ostilità fra Hatti e l’Egitto durante il regno di Seti I° e Ramesse II° tra l’altro c’è un passaggio che rievoca la morte di Muwatalli e l’ascesa al trono di Hattusili, a conferma della legittimità del sovrano.

Subito dopo la costituzione del trattato, una lettera di Ramses II° riconosce che Hattusili è “un grande re”; successivamente, in forma ufficiale, vengono inviati i grandi d’Egitto ad Upi, per accogliere  in un solenne accompagnamento ufficiale il re ittita  a Kinahhi, punto considerato intermedio tra i due regni, dove il Faraone lo aspetta per condurlo personalmente in Egitto.
E’ fondamentale il riconoscimento dello status di “grande re”; tale considerazione certa è contenuta anche nella lettera del Faraone al re del paese di Mira . Che si era lamentato come un suddito . In essa si sottolinea che il Faraone e il re di Hatti sono fratelli sono “fratelli” e che gli stessi dei di Hatti li hanno messi sul trono . 

Il modo assolutamente diverso con cui procede la versione egiziana, permette il ricordo di due precedenti trattati tra gli hittiti e gli Egiziani al tempo dei sovrani Suppiluliuma e Muwattali, che viene erroneamente definito “padre” di Hattusili. C’e’ da sottolineare che in questo preambolo storico è difficile trovare la verità storica, è ma è importante la scelta degli episodi che vengono mensionato. Nelle due versioni del testo è presente un principio di assoluta simmetria e le clausole sono ripetute singolarmente e letteralmente. E’ da notare che nella redazione egiziana, viene citato prima il nome di Hattusili e poi Ramesse II°, mentre nella redazione in accadico ovviamente l’inverso. Nell’ atto, come detto, si intendeva sorvolare sul passato di ostilità, per sottolineare le future relazioni di leale amicizia dei due stati contraenti, sulla base del principio di reciproco aiuto e rispetto, L’alleanza non aveva alcuna limitazione, e provvedeva un mutuo sostegno sia verso nemici esterni e prevedeva un mutuo sostegno sia verso nemici esterni che in caso di ribellione interna, elementi che davano forti garanzie alla reciproca sicurezza.

Reciproca era anche l’intesa relativa all’estradizione di fuggiaschi, senza alcun limite relativo al loro status sociale. Di notevole interesse storico è il fatto che Hattusili richieda a Ramesse un appoggio, in caso di morte del Grande Re ittita, garantire la legittima successione al trono di Hatti al suo erede legittimo. Nello stesso atto non e’ presente la stessa norma in favore dell’Egitto, come se nello stato egiziano non sussistesse alcun problema riguardo alle successioni  al trono; in base a come sono descritte le cose, sembra che il problema potesse porsi solo in Hatti, dove, come detto, il re  Hattusili, era un sovrano usurpatore . 

Dopo il trattato, i rapporti fra i due paesi si fecero particolarmente intensi, attraverso uno scambio epistolare, tra i membri delle due corti, tendente a rafforzare i legami di “fratellanza” istaurata mediante il medesimo patto. E’ di particolare rilievo la corrispondenza inviata dalla regina Naptera (Nefertari), moglie del Faraone, a Puduhepa, alla quale annuncia l’invio di un regale omaggio, una collana e vestiti preziosi, in quanto il rapporto fra loro viene definito il rapporto come quello tra due “sorelle” . Lo stesso tenore ha la lettera estremamente famigliare del principe Shutapshap a Hattusili, con cui il re ittita viene definito “padre mio” . Con ansia e continuità viene posto in grande enfasi il sentimento di fratellanza , ad avvalorare ciò che era stato sancito dal giuramento e ribadito nella lettera d’accompagnamento dei doni inviati dal visir Pashyara ad Hattusili.

CAPITOLO QUINTO

MATRIMONI INTERDINASTICI Nel vicino Oriente Antico

Il momento decisivo per la consacrazione del trattato tra il Faraone e il Grande Re, benché nel periodo precedente tutto sia scivolato secondo i patti stabiliti, è legato a un avvenimento edificante per entrambe i regni che, il rapporto tra i due paesi: il matrimonio tra Ramesse II° e la principessa figlia di Hattusili III°, a cui fece seguito un secondo matrimonio, attestato da fonte egiziana. Il primo matrimonio è attestato da un gran numero di lettere redatte in accadico e ittita oltre che da testi in egiziano ed in particolare dalla così detta “Stele del Matrimonio”. Il “corpo” del documento è costituito da un elenco dettagliato di contratti in ordine cronologico, in cui gli studiosi non sono d’accordo, in quanto spesso vengono riferiti brani di corrispondenza precedente, secondo un uso di inserire citazioni, documentato tra l’atro, già nelle lettere dell’archivio di el-Amarna. Il documento coinvolge più personaggi, oltre ai due sovrani dei regni egiziano ed hittita, e alla regina Puduhepa, moglie di Hattusili, e riporta tutte le lunghe trattative al tempo in cui la principessa era ancora nel paese di Hatti. Poi ci sono le conclusioni con il matrimonio avvenuto nel 34° anno del regno di Ramesse II°.

Figura anche la figlia del sacerdote Pentipsarri, devoto alla dea Ishtar della città di Lawazantiya, c’è poi da sottolineare che la regina hittita ha avuto un ruolo su un piano di parità rispetto al cosorte, dal punto di vista politico, religioso nonché giuridico, fatto avvalorato dalla presenza del suo sigillo reale insieme a quello del re, impresso sulla “tavoletta” d’argento  del trattato. Particolare interesse riveste lo scambio di corrispondenza prematrimoniale tra Ramesse II° e Puduhepa, nell’ambito del quale abbiamo a disposizione, una lunga lettera alla regina, scritta dal Faraone, in cui con tono poco sottomesso, anzi ironico, domanda, dopo diversi preamboli, se non avesse cambiato parere e non volesse più concedere la principessa ittita in sposa ; la lettera è complessa e parla di problematiche varie.

Abbiamo a disposizione un’altra lettera scritta in accadico e inviata da Ramesse II° a Puduhepa, di difficile collocazione cronologica del testo. La lettera riguardo, la cerimonia dell’iniziazione della sposa, definita dal Faraone “una cosa molto bella”, voluta dagli dei di Hatti e dell’Egitto; secondo il Faraone con tale matrimonio si stabilisce l’unità in eterno dei due paesi, quello di Hatti e l’Egitto .

Il matrimonio fu concluso stabilendo la preminenza della principessa rispetto alle altre mogli, desiderio espresso  esplicitamente dalla regina Puduhepa . Le nozze celebrate, diedero il frutto di una bambina ai sovrani . 

Il trattato tra Hatti e l’Egitto che abbiamo considerato riveste una particolare una particolare importanza, perché in effetti lo si può ufficialmente definire “il primo trattato internazionale dell’umanità”. Ma al di la delle clausole specifiche del documento stesso, sembra ancor più interessante il fatto che ad apporre, per così dire un “sigillo indelebile” ai propositi contenuti in esso, sia il matrimonio interdinastico tra il faraone Ramesse II° e la principessa hittita Approfondendo il problema storicamente, si rileva che l’intesa tra Hatti e l’Egitto è il momento storico più importante del II° millennio. Il suggello del matrimonio viene a costituire la garanzia della pace tra i due regni, fatto che viene letteralmente a maturazione dopo sedici anni dalla pace stessa giurata . all’indomani della battaglia di Qadesh, la prima grande battaglia per dimensioni ed importanza nella storia dell’uomo. Dovremmo probabilmente arrivare al 490-478 a.C, con le guerre persiane, per parlare di una così importante mobilità militare. Bisogna quindi sottolineare con particolare forza l’importaza del patto di alleanza tra Hatti e l’Egitto, e questo rende questo ancor più interessante il dossier epistolare delle lettere diplomatiche spedite tra i due monarchi dopo sedici anni dalla vicenda bellica.

Come detto, le fonti epistolari sono di origine e provenienza sia httita che egiziana, con redazione in egiziano, per la parte egiziana mentre quella l’ittita , e’ in parte nella stessa lingua ittita, ma per la maggior parte in accadico, lingua diplomatica internazionale a partire dal  periodo del Bronzo . Dobbiamo quindi distinguere due gruppi di documenti:

1)-Materiale scritto in caratteri cuneiforme rinvenuto a Bogazkoy, che costituisce una testimonianza diretta di natura epistolare del procedimento, vale a dire una sorte di “dossier” matrimoniale. 2)-Materiale scritto in caratteri geroglifici rinvenuto in Egitto, che costituisce una testimonianza secondaria, quasi sempre di carattere celebrativo. Rimane silente la parte hittita n proposito alla battaglia di Qadesh, questa tra gli eserciti hittita di Muwattali e Ramesse II°, solo poche fonti accennano ad una guerra combattuta tra Hittiti e l’Egitto in seguito alla defezione dello stato vassallo hittita di Amurru in campo egiziano. La mancanza documentale della notizia, nasce dal fatto che i documenti in nostro possesso in cuneiforme furono redatti dal successore di Muwattali, hattusili III°, che come chiaro è, non aveva alcun interesse a rendere note le imprese del suo predecessore, in quanto tra l’altro non aveva rispettato le scelte ne in tema di successione e ne di alleanze politiche interne ed internazionali, tanto meno in ambito religioso. Tanto più, Urhi-Teshub/Morsili III°, il figlio spodestato di Muwattali, posto all’esilio dallo zio in primo tempo a Nuhashe, era fuggito dalla località “vicino al mare” dove lo zio lo aveva poi relegato e si era rifugiato, come si dirà in seguito, in Egitto presso il Faraone. L’intervento di Hattusili presso il Faraone, adducendo a sostegno del partito politico avverso in Hatti, che in effetti, in quel tempo doveva essere certamente molto forte, si propone ad istaurare buone relazioni con il Faraone intessendo un fitto rapporto di scambi epistolari con l’Egitto, rapporto molto coinvolgente, che interessò, oltre che i sovrani, anche membri importanti delle due corti. In questo contesto, non era etico da ricordare da parte di Hattusili, la sconfitta del Faraone ad opera degli eserciti hittiti. Questo, anche perché, la cultura propagandistica egiziana ed in particolare in questa circostanza Ramesse II° aveva proclamato ufficialmente al mondo egiziano la vittoria la vittoria sugli hittiti. Hattusili preferisce, in questa circostanza, tacere: significativo a questo proposito ilo diverso modo di episodiare la destituzione di Benteshina di Amurru da parte sua o da parte del figlio Tuthaliya IV. In fatti, sembra comunque che l’intervento di Muwattali sia stato conseguente alla defezione campo egiziano dello stato di Amurru, vassallo hittita dai tempi di Suppiluliuma I°, dal momento che un suo testo votivo, fatto erigere da Muwattali in preparazione dello scontro decisivo contro l’Egitto, questo sovrano promette doni agli dei se riuscirà a sconfiggere Amurru: “ In qualunque campagna la mia maestà marcerà, se voi dei correrete davanti a me ….. io darò doni agli dei “ . La posizione di centralità geo-politica di Amurru, tra hittiti ed egiziani trova il giusto riscontro anche nel trattato di Tuthaliya IV° con Ahaushgamuwa di Amurru: “ma quando Muwattali fratello del padre di mia Maestà divenne re, gli uomini del paese di Amurru furono colpiti davanti a lui e gli mandarono a dire così: Di nostra volontà fummo sudditi, mo ora non siamo più tuoi sudditi ! E si posero si posero al seguito del re del paese d’Egitto. Allora il fratello del padre della Maestà Muwattali, e il re del paese d’Egitto combatterono per gli uomini del paese di Amurru. Muwattali lo vinse, distrusse con le armi il paese di Amurru e lo soggiogò. E nel paese di Amurru fece re Shapili. Ma quando Muwattali, il fratello del padre della Maestà divenne dio, il padre della Maestà, Hattusili, divenne re. Allora depose Shapili e fece re nel paese di Amurru Benteshina tuo padre” . In conclusione, dati gli stretti rapporti di parentela che legano lui e suo padre alla famiglia reale di Amurru, Tuthaliya nel suo trattato attribuisce generalmente le responsabilità della detenzione agli “uomini del paese di Amurru”; ma da quando narra lo stesso Tuthaliya e da quanto emerge dal trattato di Hattusili con Benteshina di Amurru, risulta chiaro che Muwattali ritenne responsabile il re Benteshina, lo depose e lo costituì come uomo di fiducia . Come e per quanto esposto, questo non può evitare l’argomento in proposito al decreto di confisca dei beni di Arma- Tarhunta, colpevole di essersene appropriato nella sua assenza dal paese di Hatti per tramare contro di lui, le sue parole sono essenziali e il tono quasi dimesso, molto diverso da quello usato per descrivere le sue imprese contro i montanari Kaska. Non potendo comunque negare la realtà della guerra con l’Egitto o delle vittorie di Muwattali, nell’introduzione di parte hittita del trattato di pace con Ramesse, inviato in Egitto a noi pervenuta, Hattusili ne attribuisce la responsabilità divina: “(egli) combatte con Ramesse al tempo di Muwattali”. Come detto, è sottolineato più volte, agli studi odierni ci è pervenuta solo la redazione egiziana stracarica di propaganda volta alla politica internazionale del tempo, ma senza escutere il fantastico quadro epico che fornisce Ramesse II° e che sarà trattato in seguito. La versione è solitaria, è solo quando sarà rinvenuta la capitale di Muwattali da parte degli archeologi, potremo forse colmare lacune nella documentazione e conoscere anche la versione hittita sullo svolgimento della battaglia. E’ bene a questo punto, considerare in modo più approfondito i due matrimoni dinastici di Ramesse II°. E’ codificata con (SN 3.2) la documentazione del primo matrimonio, estremamente povera, tutta proveniente dagli archivi egiziani, con testo geroglifico di carattere celebrativo . Riguardo al secondo matrimonio, codificato con

( SN 3.1), il “dossier” consiste, come detto in un copioso quantitativo di materiale, costituito da uno scambio di lettere tra Ramesse II° e Hattusili III°, e contemporaneamente, da quella di 

sua moglie, la regina Puduhepa; in effetti queste lettere sono simili a quelle dell’età amarniana ma sono meno conosciute. I limiti del dossier sono controversi, in quanto si tratta di un grosso blocco di testi, alcuni dei quali sono considerati da alcuni studiosi appartenenti a tutt’altra trattativa. Inoltre non tutto il materiale e’ stato reso divulgabile e pubblicato ed in fine, ci sono altre parti frammentarie riguardanti epistolari che potrebbero essere resti di qualunque altra sua parte . E’ importante tenere presente quanto detto, in quanto la situazione condiziona il nostro studio l’elaborato di studio. Il prospetto cronologicamente ordinato dei testi che intendiamo considerare è il seguente:

      CORRISPONDENZA	       CORRISPONDENZA
    Ramesse II°  -  Muwattali III°	        Ramesse II° -  Puduhepa

1)- KUB XXVI 89* 2)- KUB XXI 3 (minuta)* 3)- KUB XXI 36* 4)- [KBo l 9 +]** 4)- [ 1965/c + ] ** 5)- KUB III 63 + 6)- KUB III 24 + ( copia?) 7)- KUB III 37 + ** 7)- KUB III 57 **


• ** In ittita. Il “dossier” è bilingue, ittita-accadico. Le lettere in ittita (massime le due egiziane, perché il problema posto da KUB XXI 38, che è una minuta, è facilmente aggirabile con la supposizione che fosse destinata ad essere tradotta) propongono un problema che dobbiamo lasciare insoluto, perché implicherebbe un attento esame di tutto il materiale epistolare pervenutoci in lingua nazionale (ittita, hurrita, ugaritica) ; finché i limiti e il senso dell’uso di questi idiomi nella corrispondenza internazionale non siano stati chiariti, è sconsigliabile azzardare deduzioni . Dato però che fin dal XIV° secolo, come dimostra il caso di EA 31, la cancelleria faraonica era in grado di redigere lettere in ittita, possiamo accettare il “dossier” quale ci è pervenuto senza troppe perplessità. • * “Parallelbrief” .


CAPITOLO SESTO

ANALISI DEI DOCUMENTI

Come si nota nel prospetto che precede, il materiale del primo matrimonio egizio-ittita presenta una particolarità rispetto agli altri, data dal giustapporsi di due linee parallele di corrispondenza, come ebbe modo di rilevare E Edel in una importante pubblicazione, di un quarto di secolo fa . Cercheremo di ripercorrere la sua indagine soffermandoci sulle lettere dette “Parallelbriefe” di KUB XXI 38. In considerazione del periodo, “ primo periodo Ramesside “, il materiale è stato reso noto in forma parziale, base ad una valutazione e a una cognizione di scelta personale. Nell’ambito dei rinvenimenti effettuati a Bogazkoy sono state isolate numerose lettere, da riferire alla regina: tredici lettere ricevute e ventisei inviate, tredici ricevute dalla regina Puduhepa, almeno quattro, riguardano argomenti matrimoniali; e due di esse sono duplicati di corrispondenza inviata ad Hattusili. Da questo, si deduce che l’intera corrispondenza tra Ramesse II° e Puduhepa doveva essere costituita da doppioni regolati dal protocollo reale, in quanto, secondo la concezione hittita della regalità, la regina occupava una posizione politica alla pari del re, ed era quindi necessario l’assenso di entrambe i coniugi reali. Di qui, la doppia risposta alla doppia corrispondenza inviata ai sovrani da ambascerie straniere. Evidentemente, il protocollo ittita, prevedeva, che nella medesima forma alla corrispondenza sia, se inviata indifferentemente sia il re che la regina rispondessero alla corrispondenza, che doveva essere indifferente sia all’uno che all’altra.

Lo studioso E. Edel, per illustrare tale antica regola, elaborò il concetto di “lettere parallele” (“Parallelbriefe”), sulla base di esempi tratti da una sola coppia  1965 + (Puduhepa) e KBo 1 9 + (Hattusili) che a tutt’oggi non è stata pubblicata.  A proposito della seconda coppia di“Parallelbriefe” di argomento matrimoniale il KUB III 57 8 a ( Puduhepa ) e il KUB 37 + ( a Hattusili )  , c’e’ da osservare che i due documenti in realtà i sovrappongono  con una certa precisione , anche se ci sono giunti  in pessimo stato. Questa veduta, secondo il criterio dello studioso è accettabile in vista del precedente rappresentato da 1965/c + e KBo 1 9, a cui non si può fare accesso. 

A sostegno della sua tesi E. Edel citava, come detto, da 1965/c, un passo in cui un messaggero ittita dichiarava che l’estradizione di certi personaggi, richiesta dalla regina Puduhepa, sarebbe stata concessa dal Faraone “all’arrivo ( a-di….il-la-ka)b di una lettera del grande re, re di Hatti, insieme ( qa-du )b alla lettera della regina, che dica così : “Consegnatemeli! (su-bi-la-as-su-nn-ti) . Questa testimonianza, però, non è probante, in quanto non è esplicita ed univoca : il Faraone , Ramesse II°, poteva semplicemente pretendere, per quell’atto di serio peso politico una richiesta di avallo fatta dalla suprema autorità del paese alleato. La corrispondenza in ittita è principalmente rappresentata da una lunga lettera di Puduhepa, la KUB XXI 38 . A tale riferimento, in base al contenuto, si sono potuti riconnettere esigui frammenti epistolari: il KUB XXVI 89, che fa parte del messaggio antecedente, e il KUB XXI 36, che fece parte del messaggio di risposta . Accennando a KUB XXI 38. lettera in buona parte improntata a fatti ed argomenti di carattere personale, chiaramente, E. Edel stesso riconobbe che non era possibile la sua “Parallelbriefe”a nome di Hattusili . La fragile ipotesi di un’assenza del re per impegni di guerra, formulata dal principale elaboratore del documento, il Sommer , in una assenza del re per impegni di guerra, fornì la soluzione di un problema che interveniva ancora solo indipendentemente con quello del “dossier “ egizio-ittita con la sua “Parallelbrief”, perché nessuno pensava che il destinatario della lettera potesse essere Ramesse II°. in primo momento, si è pensato a Bentesina d’Amurru o a Kadasman-Enlil II° di Babilonia  : in una analisi più attenta Sommer, impose l’identificazione con il re di Alasya, l’odierna isola di Cipro. Grazie alla notizia data da Puduhepa alla linee RO 11’ – 12’, della presenza di Urhi-Tesub presso il sovrano destinatario, al paese del quale inoltre, secondo la linea Vo 3, ci si avvicina passando da Hattusa ad Amurru, tutto si coordinò col passo dell’”Apologia di Hattusili” , che narra come URHI-Tesub, dopo un periodo di residenza in Nuhasse, fu relegato dal suo sopraffattore A.AB.BA ta-pu-sa, cioè, secondo la lettura del Sommer “Ubers Meer” , in un luogo di mare, in un’isola; siccome il destinatario è trattato da re, la conclusione e deduzione che fosse il sovrano di Alasiya parve scontata . Per quanto tra i più recenti studiosi che si sono occupati di KUB XXI 38, lo Stefanini si attenga all’identificazione del Sommer , lo Helck, al contrario, la smantella, rilevando, da un lato, che A.AB.BA ta-pu-sa “ presso il mare” (“neben das Meer”), non orienta affatto verso un’isola come luogo toccato da Urhi-Tesub nelle sue peregrinazioni e, dall’altro, individuando altre fonti che, coordinate con le linee Ro 11’-12’ KUB XXI 38 : Ro 11’-12’, costringono a riconoscere un fatto storico, quasi certo nell’esilio di Urhi-Tesub , già in precedenza trattato, cioè che dopo aver abbandonato il territorio hittita ed essersi spostato probabilmente in Ugarit , egli avrebbe poi trovato asilo proprio alla corte di Ramesse II°. Sembra dunque che l’individuazione di Ramesse II° quale destinatario di KUB XXI 38 sia una buona acquisizione e non solamente una ipotesi, possa dar ragione del complicatissimo testo.

Se quindi nella lettera KUB 38 e nei frammenti connessi sopravvive una parte dello stesso “dossier” matrimoniale che include le lettere in accadico, tema dello studio di E Edel, la sua tesi relativa a una corrispondenza mediante doppioni, perde molto della sua consistenza. A questo punto, stando ai fatti, l’ipotesi più corretta sarà di ammettere che ad un certo punto della trattativa matrimoniale, le due linee della corrispondenza tenute da Ramesse II° con Hattusili e con Puduhepa, abbiamo coinciso con testi meramente identici e che in tale senso le due lettere in accadico si presentino come “Parallelbriefe”. Altri espliciti riferimenti di altri testi dimostrano positivamente che durante il periodo del matrimonio erano in corso  corrispondenze su un medesimo oggetto che riteniamo complementari, anche se potevano anche venire a sovrapporsi.

Un’altra possibilità è che, fermo restando ciò che si è detto in precedenza, i messaggi a nome del re, tendessero a mantenersi su un piano di più solenne ufficialità, mentre con le lettere della regina la corte hittita, all’occorrenza, trattava in maniera concreta e pragmatica. La corrispondenza scambiata tra Ramesse II° e Puduhepa risulta, rispetto ad altre lettere, un blocco ben individuato. Secondo l’uso già osservabile, ad esempio nella lettera in EA 1, nei testi accadi del “dossier” ogni lettera riferisce parte del messaggio precedente, costituendo così una concatenazione serrata. Infatti, le risposte sono sotto forma diretta, benché il redattore non copi sempre parola per parola, ma evidente è il tenore epistolare e la coerenza della corrispondenza. C’è da notare che queste riprese includono citazioni dello stesso tipo; ad esempio, esaminando le lettere: KUB XXI 38, Ro 7: “Poiché dunque fratello mio , così mi hai scritto”, “Mia sorella mi ha scritto”, “Una figlia a te ….” I documenti assumono quindi una notevole omogeneità espressiva, la stessa cadenzatura, in cui ogni frase , in senso modulare, entra nell’altra come forma sintetica di espressione, e dove lo scrivente ripete nella sua lettera il tono e le frasi del mittente. La si può considerare una forma protocollare, singola missiva alla sua precedente, come una garanzia di continuità del colloquio epistolare. Altri due messaggi significativi ed utili al nostro studio provengono dal testo KUB XXI 38; l’antecedente immediato, è da identificare con la lettera di Ramesse II° un cui frammento sopravvive in KUB XXVI 89, l’antecedente dell’antecedente, vale a dire un’altra e più antica lettera di Puduhepa, nelle frase che figura, in quest’ultimo frammento, alle linee 3’-4’ e 7’-10; inoltre è possibile che in Ro 45’-46’ riemerga un passo di una ancor più antica lettera del Faraone. Certamente si evidenziano notizie date in retrospettiva, tra i punti segnati dai messaggi. E’ chiaro che il quadro che ci si propone è molto ingarbugliato, e la difficoltà è accresciuta dal fatto che KUB XXI 38 presenta lacune al principio e alla fine del testo, anche se non di molte linee e ad una osservazione di senso compiuto, dà l’idea di una “brutta copia”, come prova l’abbondanza di “erosioni” . Tra le osservazioni al testo, che appare alquanto trascurato, vi sono inserzioni interlineari , spazi anepigrafi e strutture ellittiche che poi, possono essere confrontate con la copia effettivamente inviata, ricostruibile in base alla citazione che fa Ramesse II° nella sua rsposta in KUB XXI 36 . A illustrazione di quanto abbiamo detto, analizzeremo ora le ricostruzioni complessiva di questi testi. Le lettere A-D stanno ad indicare l’ordine cronologico dei messaggi: i numeri delle linee senz’altra indicazione e i tratti della divisione in settori del testo, si riferiscono a KUB XXI 38. (C) – 2° LETTERA di PUDUHEPA, tratta dalla lettera (KUB XXI 38 e citazioni in KUB XXI 36) – [ indirizzo augurale paritetico (cf.il rapporto “fratello/sorella” tra i corrispondenti) . ] (B) -1° LETTERA DI RAMESSE II° (KUB XXVI 89 e citazioni in KUB XXI 38) – residui di formule introduttive (Ro. 1’-4’)- Residui di analoghe formalità e introduzione del messaggio (Ro. 4’-6’).// Facendo riferimento all’antecedente. (A)– 1° LETTERA di PUDUHEPA (citazione in KUB XXI 38 e in KUB XXVI 89) , il faraone chiede se la regina ora è adirata, e perché non l’ha più data (Ro8’) : Puduhepa risponde appellandosi anzi tutto alla comprensione del corrispondente ( Ro. 9’ ): ad entrambi è noto che il palazzo di Hatti è andato a fuoco, e che Urhi-Tesub ha consacrato quel che resta (Ro. 10’-11’) . Dato che Urhi-Tesub è presso di lui, egli chieda se è così o non è così (RO.11’-12’). Che figlia dovrà mai dargli (questo secondo la situazione )? (Ro.12’-13’ e KUB XXI 36: 5’ sgg) . E in qual condizione la porrà nei confronti delle altre mogli straniere del faraone, siano esse figlie dei re di Babilonia o di Zulabi .

Passiamo ora ad analizzare i documenti della seconda serie:

a)- PRIMA SERIE di “PALALLELBRIEF” di RAMESSE II° Questa parte del dossier presenta al momento gravi lacune, tanto più deprecabili giacché in base alle notizie che se ne hanno, il duplice testo è assai promettente da nostro punto di vista : lo studioso E. Edel lo considera come primo documento del “dossier” matrimoniale, ovvero, il più antico pervenutoci in lingua accadica e naturalmente, come tale va trattato.

Il documento: la lettera indirizzata ad Hattusili III° (KBo I 9+)  è giunta incompleta, sebbene, in effetti di contenuti comprensivi molto più ampi; quella a Puduhepa (1965/c+), però e’ integra. E’ parte fondamentale del documento nei suoi contenuti, in quanto fornisce elementi sugli sviluppi della trattativa matrimoniale.

Fondamentalmente ci dà notizie dei seguenti motivi e messaggi: 1- Messaggio hittita in cui era espressa la speranza che la principessa sposasse il Faraone avendo rango di moglie principale (“Hauptgemahlin”). 2- Messaggio egiziano di consenso. 3- Messaggio egiziano di soddisfazione per il compiacimento, che sarebbe propriamente l’occasione delle due lettere. Con l’affare matrimoniale si sarebbe trattato anche l’affare politico; l’estradizione di certi personaggi, richiesta da parte hittita e concessa da parte egiziana “ su-condizione ; in rapporto a ciò troviamo di un certo interesse, la citazione diretta delle parole che il messaggero hittita rivolge a Ramesse II° b)- LETTERA KUB III 63, di RAMESSE II° a PUDUHEPA . Indirizzo augurale (1-6) .// Annuncio del rientro di una ambasceria egiziana accompagnata da una ambasceria ittita (7-11) // e dalla ricezione di una lettera da parte di Puduhepa (12-13). // La regina e’ formalmente informata del messaggio con cui Hattusili III° aveva invitato il Faraone a mandare suoi emissari che procedessero all’unzione cerimoniale della figlia, per poi recargliela (14-16) . Di tale messaggio Ramesse II° si compiace, dicendosi certo che la cosa e’ ispirata dagli dei, e renderà i due paesi un solo paese per sempre (17-20). Ci sono poi resti di ulteriori tre linee della sezione // e delle prime successive (24), su cui al Ro il testo si interrompe, e non danno senso. Al Vo., tracce di una registrazione di “doni”. c)- LETTERA KUB III 24+29, di Puduhepa a Ramesse II° residui della formula introduttiva (Ro.1’).// Citato secondo l’uso l’antecedente in cui Ramesse II° aveva parlato in termini celebrativi dell’imminente matrimonio (2’-4’) , Puduhepa risponde associandosi nell’esaltazione del giorno “ in cui hanno[versato] fine olio sul corpo della figlia “ (5’-10’).// La seconda sezione di testo (11’-17’) è occupata da altre citazioni dell’antecedente che contengono solo espressioni di convenienza; le ultime linee , // e le prime della sezione successiva (18’-19’), sono guaste, poco comprensibili e, probabilmente, poco significative: poi il testo si interrompe. Sul Vo. non serbiamo che i resti inutilizzabili d’una dozzina di linee non consecutive. Presenta un certo interesse il ricorrervi di dati numerici – trecento (forse oggetti lignei, cf. KUB III 24: Vo.5’), cinquecento (NAM.RA, cf. KUB III 59 : Vo 8’), mille (cf. KUB III 59 : Vo.9’): probabilmente, Puduhepa trattava con precisione e concretezza di cose patrimoniali. d)- SECONDA COPPIA di “PARALLELBRIEFE” di RAMESSE II°. Consiste in due documenti malandatissimi ai quali E. Edel e’ riuscito a restituire una forma intelligibile che va considerata con cautela, ma dalle quali non si può prescindere; KUB III 37 + KBo I 17 è quanto rimane della lettera a Hattusili III°, KUB III 57, quanto rimane della lettera a Puduhepa . Il duplice testo ha inizio con una ventina di linee ridotte in condizioni che sconsigliano qualunque parafrasi e che, peraltro, mancano affatto in KUB III 57; va notata la menzione del messaggero hittita Pipasti (Ro.2), un cenno alla sposa (7) e il motivo, certo ormai divenuto stereotipo, delle figlie dei re di Babilonia e di Zulabi (10-11). Con Ro.18-19 è introdotta la citazione di un passo dell’antecedente: il corrispondente ittita menziona il “nudunnu” ( cf. KUB III 57 Ro.0) della principessa, elencando quanto lo compone , ed invitando Ramesse II° a mandare a ritirarlo ( KUB III 37 + : Ro, 19-24 e KUB III 57: 3 ). Ramesse II° risponde che, quanto a quel patrimonio di di servi e bestiame, ha dato mandato al prefetto ( sakin mati ) Suta, residente nella città di Ramesse situata nel paese di Ube , perché lo riceva e lo abbia in cura finché la sposa non sia arrivata (KUB III 37 + : Ro. 25 – Vo 9 e KUB III 57 : Ro. 4 – Vo 7) ; e che ha dato mandato a un altro prefetto (?) , perché abbia in cura quel patrimonio di servi e bestiame fino a che la sposa non sia arrivata in Egitto (KUB III 37 + :Vo 10-19 e KUB III 57 : Vo. 8 sgg). Ad un’altra citazione dell’antecedente menzione ittita della scorta alla sposa (KUB III 37 + : Vo. 21)- seguono due o tre linee il cui senso non è recuperabile . Secondo E. Edel, questa coppia di lettere procederebbe cronologicamente da KUB III 63. Gli studiosi non sono d’accordo su tale collocazione, ed escludono che sia il più recente documento pervenutoci. La cerimonia di unzione menzionata nella lettera KUB III 63 non si può situare irrevocabilmente all’immediata vigilia della partenza della principessa e sposa tra l’altro, poco conta che questa sial’idea che dà il testo, in quanto simili appiattimenti letterari sono molto frequenti. Siamo certi però che la cerimonia di unzione è indicata come gia avvenuta nella lettera KUB III 24 +, che perciò si evidenzia da sola come posteriore alla lettera KUB III 63 e deve essere considerata come parte del gruppo, per il suo stile caratteristico dei testi che precedono la conclusione della cerimonia nuziale.

Ci giunge più integra la parte di documentazione geroglifica di carattere celebrativo, anche se senza alcun dubbio è piena di una propaganda che arricchisce di celebrazione, sempre gli avvenimenti positivi del regno secondo le linee suggerite dalla celebre diplomazia interna ed esterna egiziana. E’ il caso della “Stele del Matrimonio”, un documento eretto in area templare compilato in due versioni, una abbreviata rispetto all’altra  . E’ molto chiara quella più ampia rispetto all’altra, nota sulla base di cinque diversi esemplari  rispettivamente provenienti da : Abu-Simbel, Elefantina, Karnak, Amarah ovest e da ultimo, Aksha , mentre la versione abbreviata si ha dalla  stele di Karnak : la datazione assegnata dagli studiosi è al 34° anno del regno di Ramesse II°, che in effetti, fu quello del suo matrimonio. Il periodo e’ stato più precisamente fissato dal testo in base al terzo mese della stagione invernale, e al II° giubileo del Faraone . 

Oltre alla stele esiste un documento complementare è passo della cosiddetta “Benedizione di Ptah”, datata al 35° anno pure rappresentata da diverse stele scritte . Abbiamo in oltre una lastra in steatite proveniente da Tell el Yehudiyeh, ove si legge il nome di Ramesse II° sul diritto, mentre sul rovescio la scritta “Sposa del Re Maahorneferura, figlia del Grande Principe di Hatti” ; l’effigi “Signora delle due terre Maahorneferura, Figlia del Grande Principe di Hatti”, fu poi sostituita con il nome della regina Meritamon su una stele colossale di Ramesse II° i cui resti furono rinvenuti a Tanis, presso il delta . Tutti i documenti precedentemente elencati sono, come detto, di carattere celebrativo; il solo documento geroglifico che non abbia carattere celebrativo è rappresentato, da tre esigui frammenti papiracei provenienti dall’harem faraonico di Moeris nel Fayum l’attuale città di Miwer, che recano un elenco di tessuti, se pure in tracce, appartenuti forse alla “sposa del re Maahorneferura, figlia del grande principe di Hatti” . Non ci sono però elementi per poter dichiarare che questo l’elenco, sia mai stato parte del corredo della principessa.

Il documento più interessante per il nostro studio rimane comunque la “Stele del Matrimonio”, che rimane un monumento-documento veramente singolare e senza confronti. Al suo tempo fu concepito come elemento di un insieme una parte figurativa e una parte narrativa, correlate l’una con l’altra ma autonome. La parte figurativa  rappresenta Ramesse II° in una scena regale, seduto sul trono, in una sala con soffitto, affiancato da due divinità  sedute su trono; la scena risulta particolarmente enfatica e significativa, “un dio tra le divinità” in un atteggiamento di completa parità: tutti e tre seduti su trono nelle medesime condizioni di  status e dignità. A destra avanza la principessa ittita già incoronata come regina egiziana con il suo nuovo nome egiziano, quello ittita non e’ ricordato, e in realtà non è conosciuto : “Grande sposa Reale Maahorneferura  , figlia del grande principe di Hatti”. Nella raffigurazione  dietro di lei, Hattusili III°, in atteggiamento riverente e adorativo di sottomissione e profondo rispetto  è definito impersonalmente “Grande Principe di Hatti” . 

E’ eloquente il confronto tra i documenti celebrativi e quelli epistolari relativi al medesimo evento. L’interpretazione unilaterale che del matrimonio interdinastico egizio-asiatico viene data nei monumenti celebrativi appare in piena evidenza: in essi infatti domina un elemento che fin dal principio appare canonizzato nella cultura egiziana, la precisa opposizione e lo squilibrio insanabile tra il mondo egiziano e il mondo barbarico, dove manca assolutamente “il gioco delle parti” diplomatico. L’ideologia monocentristica comporta che il sovrano straniero sia significativo unicamente nella misura in cui trova una collocazione nella scena dell’eterna apoteosi egiziana del re-dio attraverso un atto di umiliazione e spogliandosi di ogni ricchezza e potere, evidenziando e dando spazio nello scenario, tutto egiziano, al faraone, il “re-dio” che campeggia in primo piano assoluto.

La donna svolge diversamente un ruolo che nessuna ricchezza può sostituire, perchè ella  suscita l’amore dal faraone che riveste, in maniera assoluta, l’amore divino, al di sopra di ogni altra cosa, oltre ogni entità e persona, un amore speciale, quell’amore che può solo provenire da un dio, un amore vivente e salvifico: data come tributo al faraone, che, ne avrebbe potuto avere altrettante, data la sua  incommensurabile grandezza, questa donna diviene bellezza e delicatezza mediatrice tra l’Egitto e il mondo buio da dove viene, con il quale, attraverso lei si istaurano importanti rapporti legati alla fertilità. Per questo concetto, tutto egiziano e’ la donna, non chi la dà ad instaurare questi rapporti; è  lei in se stessa, nelle mani del faraone nel quale si raccoglie e si mantiene ogni facoltà di operare positivamente ed infallibilmente.

L’evento ci appare alquanto storicizzato, e in questo contesto acquista un colore assolutamente esoterico, che non nasce da uno sforzo più o meno cosciente, di creare un aspetto fiabesco, quanto dalla necessità di adeguarlo ai suoi presupposti mistici. La profonda elaborazione ideologica e narrativa che subiscono gli eventi nel testo della “Stele del Matrimonio”, impone molta cautela valutarlo come documento storico, in quanto assai difficile distinguere l’aspetto ideologico dal contesto politico che vorremmo ricostruire. D’altro canto è un documento di primaria importanza per capire la concezione che gli egizi avevano del loro regno e del mondo circostante. Con questa avvertenza preliminare, possiamo dire che la “Stele del Matrimonio” ci fornisce una cronistoria corretta dei rapporti egizio-ittiti dalla fine del XIV secolo al momento delle nozze. Se volessimo affrontare analisi del momento storico del regno di Hatti al momento del matrimonio, probabilmente dovremmo partire da molto lontano, per lo meno dalla battaglia di Qadesh che si riconosce come non risolutiva; il periodo che ad essa seguì in Hatti si caratterizzava come una lunga parentesi di desolazione, disgrazia e sfacelo, di cui è evidente espressione la crisi dinastica che dopo la morte di Muwatalli oppose Hattusili a Urhi-Tesub, e che certo gli Egiziani, da parte loro, osservavano e seguivano con non disinteressata attenzione. Questo spiega la politica di Hattusili III che si sforza di governare lo stato, facendo attenzione ai regni vicini, e di riorganizzare la politica interna neutralizzando le forze che lo contrastano. Da questo deriva una nuova mentalità, nuove iniziative strategiche e politiche basate sulla diplomazia, da qui, le iniziative di pace del re hittita sul fronte esterno e su quello interno: ma da un lato l’avvio, come detto, di relazioni diplomatiche non raggiunse in realtà lo scopo di una vera pacificazione mentre dall’altro, le problematiche interne di Hatti si attenuano, ma non risultano cessate.

Dopo quel lungo periodo, seguito all’accordo di pace dopo la battaglia l’offerta della principessa riccamente dotata, riesce a instaurare un  nuovo clima nel paese, un clima di pace e fraternità tra gli storici nemici e dà avvio a una serie di eventi positivi che concorrono alla realizzazione della vera pace: l’invio, l’incontro, l’elevazione a regina.

Come più volte affermato, la versione egiziana dell’evento e’ influenzata dalla esclusiva visuale fortemente condizionata dal piano ideologico . In effetti, la “Stele” ci dà una visione tutta egiziana della vicenda, ciò che in effetti gli egizi hanno visto dal loro punto di vista in ogni solennità : il corteggiamento, la dote, e l’entità della donna nei valori. Certamente la stele non parla, nè forse è interessata a parlare di fatti che vanno oltre la corte egiziana; così non c’è alcun cenno alle cerimonie post-matrimoniali che contrariamente ci risultano da ben tre documenti in cuneiforme . Rimane silente la parte hittita in proposito alla battaglia di Qadesh, questa tra gli eserciti hittiti di Muwattali e Ramesse II°, solo poche fonti accennano ad una guerra combattuta tra Hatti e l’Egitto in seguito della defezione dello stato vassallo hittita di Amurru in campo egiziano. La mancanza documentale delle notizie, nasce dal fatto che i documenti in nostro possesso in cuneiforme furono redatti dal successore di Muwattali, Hattusili III°, che come chiaro è, non aveva alcun interesse a dover rendere note le imprese del predecessore, in quanto, tra l’altro non aveva rispettato le scelte ne in tema di successione e ne di alleanza politica interne e internazionali, tanto meno in ambito religioso. Tanto più, Urhi-Teshub/Morsili (II), il figlio spodestato di Muwattali, posto all’esilio dallo zio in primo tempo a Muhashe, era fuggito dalla località “vicino al mare” si era rifugiato come si dirà in seguito, in Egitto presso il Faraone. L’intervento di Hattusili presso il Faraone, adducendo a sostegno del partito politico avverso ad Hatti, che in effetti, in quel tempo doveva essere certamente molto forte, si propose ad operare ed istastaurare buone relazioni con il Faraone intessendo un fitto rapporto di scambi epistolari con l’Egitto, rapporto molto coinvolgente, che interessò, oltre che i sovrani, anche membri importanti delle due corti. In questo contesto non era etico ricordare da parte di Hattusili, la sconfitta del Faraone ad opera degli eserciti hittiti. Questo, anche perché, la cultura propagandistica in questa circostanza, Ramesse II° aveva proclamato ufficialmente al mondo egiziano la vittoria sugli hittiti. Hattusili preferisce, in questa circostanza, tacere: significativo a questo proposito il diverso modo di episodiare la destituzione di Benteshina di Amurru da parte sua e da parte del figlio Tutaliya IV°. Infatti, sembra comunque che l’intervento di Muwattalisia stato conseguente alla defezione in campo egiziano dello stato di Amurru, vassallo hittita dai tepidi Suppiluliuma, dal momento che un suo testo votivo, fatto erigere da Muwattali in preparazione dello scontro decisivo contro l’Egitto, questo sovrano promette doni agli dei se riuscirà a sconfiggere Amurru: “ in qualunque campagna la mia maestà marcerà, se voi dei correrete davanti a me, vincerò il paese di Amurru – sia che lo vinca con le armi sia che faccia pace con me…. Io darò doni agli dei” . La posizione di centralità geo-politica di Amurru, tra hittiti ed egiziani trava il giusto riscontro anche nel trattato di Tutaliya IV con Shaushghamuwa di Amurru: “ Ma quando Muwattali fratello del padre di mia maestà divenne re, gli uomini del paese di Amurru furono colpiti davanti a lui e gli mandarono a dire così: Di nostra volontà fummo sudditi, ma ora non siamo più tuoi sudditi ! e si posero al seguito del re del paese di Egitto. Allora il fratelli del padre della Maestà Muwattali, e il re del paese d’Egitto combatterono per gli uomini del paese di Amurru. Muwattali lo vinse, distrusse con le armi il paese di Amurru e fece re Shapili. Ma quando Muwattali, il fratello del padre della Maestà divenne dio, il padre della Maestà, Hattusili, divenne re. Allora depose Salili e fece re nel paese di Amurru Benteshina tuo padre” In conclusione, dati gli stretti rapporti di parentela che legano lui e suo padre alla famiglia reale di Amurru, Tuthaliya nel suo trattato attribuisce genericamente le responsabilità della defezione agli “uomini del paese di Amurru”; ma da quanto narra lo stesso Tuthaliya e da quanto emerge dal trattato di Hattusili con Benteshina di Amurru, risulta chiaro che Muwattali ritenne responsabile il re Benteshina, lo depose e lo costituì come uomo di fiducia . Come e per quanto esposto, questo non può evitare l’argomento e nel decreto di confisca dei beni di Arma-Tarhunta, colpevole di essersene appropriato nella sua assenza nel paese di Hatti per tramare contro di lui,le sue parole sono essenziali e il tono quasi dimesso, molto diverso da quello usato per descrivere le sue imprese contro i montanari Kaska. Non potendo comunque negare la realtà della guerra contro l’Egitto e alla vittoria di Muwattali, nell’introduzione della versione di parte hittita del trattato di pace con Ramesse II°, inviato in Egitto a noi pervenuto, come noto, in versione egiziana, Hattusili ne attribuisce la responsabilità divina:”(egli) combatte con Ramesse al tempo di Muwattali”. Come espresso e sottolineato più volte, agli studi odierni ci è pervenuta solo la redazione egiziana stracarica di propaganda volta alla politica internazionale del tempo, ma senza escludere il fantastico quadro epico che fornisce Ramesse II° di un fascino particolare, argomento che sarà trattato in seguito. La versione è solitaria, è solo quando sarà rinvenuta la capitale di Muwattali, potremo forse colmare anche la versione hittita sullo svolgimento della battaglia e fatti successivi ad essa. Gli studiosi hanno tentato di ricostruire gli sviluppi di quest’ultimo documento matrimoniale egizio-asiatico del XII secolo la cui attenzione posta conduce a buoni risultati dai dati forniti dalle più svariate fonti dell’età amarniana. Da questo, il blocco documentale delle lettere (KUB XXI 38, giustamente coi frammenti relativi), in primo momento l’accostamento tra le parti è già abbastanza lontano, questo in quanto, nelle loro retrospettive, in effetti le parti committenti alle corrispondenza non ne parlano più. Si accentra la trattativa con Puduhepa si propone ad essere disposta e interessata a far naufragare il progetto, al contrario è evidente l’impazienza del Faraone, ormai convinto e fortemente determinato a far prendere forma al progetto e sopra ad ogni altra cosa concludere la richiesta al matrimonio interdinastico. Da questo si evince, è presente nei colloqui epistolari tanto la problematica che comunque si mantiene nei limiti della correttezza verbale, tanto una sottile ma evidente strafottenza, comunque insofferente all’attesa. la polemica si trattiene nei giusti limiti, nella corrispondenza, relativamente a temi economici, il fondamento della “dote”, nell’ambito della giusta politica attraverso sostanziali argomentazioni. Certamente la nostra conoscenza alla corrispondenza intercorsa, non ci porta ad una lettera estremamente approfondita delle argomentazioni, come nella prima coppia delle “Parallelbriefe” sono lettere che vanno a toccare l’argomentazione, secondo cui, la principessa promessa in sposa al Faraone quale posto occuperà rispetto alle moglie principale. Questo rappresenta il punto di arrivo di contraddizione che hanno gran parte fin dalla più antica lettera di Puthuepa.oppure, se l’estradizione di cui si parla nella “Parallelbriefe” può in qualche modo, rappresentare la soluzione del problema concesso da Ramesse II° a Urhi-Tesub, che in KUB XXI 38, turba la regina hittita. La faccenda è storicamente importante, in quanto, siamo a conoscenza che l’ostilità concessa al re fuggiasco congelò l’intesa egizio-hittita, e poco dopo si trasformò in “un caso delicato”. In una analisi attenta, si ha l’impressione che tra il periodo in cui fu redatta la lettera KUB XXI I 38 a quello cui appartengono i testi in arcadico pubblicati, si sia volta la parte più interessante della transazione, attraverso tutti i risultati immaginari, ma che alla fine è giunta a risultato positivo. Nel secondo blocco di documenti, non si tratta di corrispondenza tendente alla conclusione del matrimonio dinastico, ma il supporto epistolare della forse conclusiva del procedimento di atti cerimoniali scontati. Punti interessanti che collegano il nocciolo della questione: a)- lettera di Hattusili che invita formalmente Ramesse II° a dover procedere all’unione con la nobil giovane che gli conceda (cf.KUB III 63; 14-16). Riportato nella “Stele del Matrimonio” (cf.246, 1/3 sgg.), ciò si riflette alla soluzione del Grande Re di Hatti, capace ad offrire persino sua figlia a Ramesse II° per placarlo. Tale notizia ci arriva da fonte geroglifica da l’impressione che l’iniziativa delle nozze venga dal datore della sposa contro tutti gli esempi, giusto è considerare come essa si saldi nel testo a quello della continuazione del nudunnù e dell’invio, questo da modo di restituirle il suo luogo cronologico del giusto significato. L’offerta trascrive la concessione dell’assenso formale e definitivo, non certo l’apertura della trattativa, che non è documentata assolutamente. b)- la cerimonia di unzione della principessa, attesta retrospettivamente , fa si che si consideri già il matrimonio concluso. Nell’analisi della stele, non c’è traccia. c)- relativo alle questioni economiche a al carteggio per i rapporti patrimoniali relativi alla sposta, oltre alla stretta modalità pratica della consegna. Su questi punti , si riscontrano le più precise corrispondenze alle documentazioni in geroglifico e cuneiforme. Esiste anche un problema di datazione, è sottolineato che il “nudunnù” di servi e bestiame che è molto ben descritto nel “dossier” e poi riportato nella “stele”, si aggiunge anche un eccellente corredo d’oro e d’argento oltre che rame, e tra gli altri oggetti anche oggetti lignei di pregio, nonché prelibati tessuti ed ulteriormente argomento già tenuto nella lettera tra le regine, nell’invia dei doni. Per quanto in generale, un completo regale a dote, già a noi noto perché affine agli inventori dei corredi delle spose reali del XIV secolo. Per quanto la dote estremamente copiosa ed ampia, ha avuto giusta divisione nella fattispecie, in fatti il bestiame e i servi furono depositati in Siria, essendo previsto l’avvio solo dopo le nozze: il corredo, il ”corum” del valore, la sostanzialità, ciò che si poteva presentare direttamente a corte del Faraone, accompagnò la principessa. Per quello che riguarda l’arrivo della sposa alla residenza del Delta col suo seguito di dignitari e guerrieri dei due paesi, ed il solenne incontro nuziale con Ramesse II°, abbiamo la sola testimonianza della “Stele del Matrimonio”.

IL SECONDO MATRIMONIO DINASTICO

TRA RAMESSE II° E LA SECONDA PRINCIPESSA HITTITA

Un secondo matrimonio egizio-hittita fu celebrato tra Ramesse II° e un’altra figlia di Hattusili III°. In effetti la faccenda, ormai generalmente accettata Non meraviglia più di tanto. Un fatto simile già si era verificato un paio di volte verso la fine del regno di Amenophi III; al tempo era consueto rinnovare le alleanze attraverso la diplomazia, al fine di alimentare la politica, e un mezzo chiaro era il “matrimonio dinastico”, molte volte in forma del tutto impersonale. Pertanto, il vecchio Faraone, morendo, lascia al suo successore un harem di coetanee. Come ormai di consueto, Ramesse II° fece celebrare, anche il suo novo matrimonio hittita su stele templari. Il prezioso testo si conserva pressoché completo su una stele di Coptos, mentre una stele proveniente da Abido ne serba qualche resto. È presentato e ha l’aspetto di un editto regio, ma in effetti è a carattere religioso per i contenuti, tenendo a spiegare con il favore del dio Ptah, e con l’aiuto di altri dei, la gloria ineguagliabile di Ramesse II°. Dopo la titolatura particolare, ormai di prassi, si legge che sua maestà ha decretato che sia tramandato come gli dei avevano concesso che i sovrani stranieri recassero in tributo ai loro figli, oro, argento, gemme preziose; come il Grande Re di Hatti, nel suo caso particolare, unitamente agli incalcolabili tributi delle terre anatoliche, fece portare “molte mandrie di cavalli”, molti armenti di buoi, molti branchi di capre, molti greggi di pecore innanzi alla seconda figlia, che fece portare a Ramesse II° in Egitto: ciò avvenne per la seconda volta. Alla fine del documento, nelle linee conclusive si dice che ottenne la sottomissione e i tributi dei sovrani stranieri non per la forza delle armi, ma per la potenza di Ptah e degli altri dei. Questo genere di documento geroglifico di carattere celebrativo,sappiamo bene come prenderlo e trattarlo. Attraverso il testo celebrativo della “Stele di Coptos”si individua un regolare matrimonio interdinastico a tutti gli effetti, egizio-asiatico, del quale non abbiamo altro dato certo che una sommaria descrizione del “nudunnù” recato dalla sposa, relativa alla cospicua dote del bestiame elencato.


CAPITOLO SETTIMO

LO SCAMBIO DEI DONI NEL VICINO ORIENTE ANTICO

Risulta argomento centrale, nell’ambito storico-culturale del Vicino Oriente durante i secoli XV-XIII a.C., il tema dello scambio dei doni. La nostra certezza riguarda l’approfondimento ideologico e culturale del “dono”, innestato nel meccanismo politico del tempo, come mezzo utilizzato dalla diplomazia in più occasioni. Mentre le altre documentazioni sono state trattate in relazione a dinastie, grandi reami e potenti stati, il dono sarà preso come oggetto di culto sociale per ogni tipo di correlazione, all’interno di una singola società sia in relazione a piccoli re e scomparsi piccoli regni. Chiaramente lo scambio dei doni rimane problema costante e permanente di ogni epoca: anche se variano le tipologie dei doni, i modi e le ritualità, le forme di rilevanza socio-politiche sono i medesimi, sopra ogni cosa in rapporto ad altri sistemi di trasferimento dei beni. La civiltà del Vicino Oriente non è mai stata da meno di altre civiltà in rapporto allo scambio di doni, tuttavia esaminando la documentazione in nostro possesso, il fenomeno sembra aver raggiunto nel periodo del Tardo Bronzo. Una frequenza di usanza particolare rispetto a ogni altro periodo della storia del Vicino Oriente. Questo fatto a sua volta discende dal clima ideologico che contraddistingue i singoli ambienti palatini dei secoli XV-XII, dalle grandi corti ai centri e regni di minore importanza, specialmente nell’area asiatica: l’accentramento dei fenomeni culturali, artistici ed economici nella sfera delle corti si manifesta il più delle volte attraverso l’adozione di schemi formali di impronta fortemente antichizzata, che riflettono il carattere elitario dei fenomeni stessi. In particolare, il sovrano, Grande Re o piccolo re che sia, assume in prima persona la conduzione dei rapporti politici sia interni che esterni e svolgere attività di commercio con gli altri stati; i mercanti sono quasi sempre dei funzionari di palazzo, attraverso una serie di rapporti con i sudditi del proprio stato e con gli altri re di rango pari o diverso. I soggetti che compaiono nello scambio di doni sono per lo più i re e, secondariamente, le regine, i principi e le principesse. Il dono internazionale è un fatto essenzialmente politico ed è pertanto pienamente compatibile che il ruolo svolto da altri personaggi sia di importanza del tutto secondaria. La provenienza palatina della documentazione coincide in questo caso con lo stato effettivo della situazione, in cui il dono rappresenta un momento di primo rilievo sul piano della diplomazia delle corti del Vicino Oriente. L’orizzonte sociale che compare nella documentazione relativa allo scambio dei doni nel Tardo Bronzo è dunque molto limitato, riducendosi al re a ad una ristretta elite palatina; le testimonianze in nostro possesso sono tanto manchevoli per quanto riguarda le consuetudini interne, che ci restano quasi del tutto oscure, mentre per quanto riguarda la diplomazia internazionale, lo scambio dei doni risulta uno degli aspetti politicamente ed ideologicamente più rilevanti. La prima prospettiva ha limitato in partenza lo studio del dono concentrandosi essenzialmente sull’aspetto merceologico, oro dell’Egitto, lapislazzuli da Babilonia, rame da Cipro ed ignorando la problematica del dono come fatto ben distinto e, al limite, inconciliabile sotto il profilo socio-politico con lo scambio mercantile. Da ciò è determinato non solo un appiattimento totale del fenomeno del dono, nella sua caratterizzazione ideologica e nella sua rilevanza sul piano della politica internazionale, ma anche una insufficiente penetrazione degli aspetti strettamente economici degli scambi. La funzione, la norma e il valore del dono sono stati perciò anche in questo caso sottovalutati o fraintesi. In altri settori di studio, lo studio dello scambio dei doni andava acquistando una dimensione, una rilevanza, una autonomia semplice più marcate e si poneva come uno dei temi centrali di riflessione, stimolando e al tempo stesso essendo sottoposto al vaglio di una più avanzata metodologia di ricerca. Il fenomeno del dono dovrebbe risultare evidenziato nella sua connotazione storica non solo dalle consuetudini diplomatiche, ma soprattutto dall’ideologia politica della società del Vicino Oriente del Tardo Bronzo. Nel detto periodo si nota una generale indipendenza dei doni delle occasioni, anche se la presenza di eventi fissi, al cui verificarsi si accompagnano offerte e scambi, è chiaramente discernibile. L’esame della documentazione rivela una serie di occasioni per l’offerta di doni: matrimoni, intronizzazioni, trattati di pace, vittorie sul nemico, celebrazioni di festività, arrivi di messaggeri; ma la maggior parte dei doni veniva scambiata tra soggetti in rapporto di amicizia indipendentemente dal prestarsi dell’occasione. Questo giudizio di ordine generale sull’impianto dello scambio dei doni nel Vicino Oriente del Tardo Bronzo è naturalmente condizionato dalle testimonianze offerte dalle fonti, che il più delle volte presentano i singoli individui come apparentemente scissi da un determinato avvenimento; ciò non esclude la possibilità che il ritmo dei doni fosse, almeno in una certa misure, legato a consuetudini di carattere vincolante. Si può prendere quale esempio una lettera indirizzata da Hattusili III° al re di Assiria: “è consuetudine che quando i re assumano la regalità, i re loro pari mandino loro i doni opportuni: una veste regale e olio puro per unzione” . E’ verosimile dunque che il collegamento del dono con l’occasione fosse il più delle volte risolto implicitamente nel concreto alternarsi delle prestazioni reciproche, ciascuna delle quali si poneva di fatto come antecedente di quella successiva in senso inverso; avvenimenti di particolare rilievo erano d’altra parte sempre solennizzati con invii di doni. Il collegamento esplicito tra dono e occasione, coi suoi, significati, è volutamente richiamato in casi in cui il dono aspettato non è giunto: sia Hattusili che Tusratta non hanno ricevuto doni dei rispettivi partener, essendosi verificata una deroga alla consuetudine che prevedeva invii di doni in risposta a quelli della controparte oppure riferendosi a precisi eventi come intronizzazione o matrimoni, dove il soggetto fa presente l’occasione nel momento di avanzare la propria richiesta. Detto questo, va rilevato un altro aspetto importante: quando il rapporto è tra due soggetti di rango sbilanciato, tipico delle relazioni di signore-servo, il margine di occasionalità del dono e’ molto più ristretto, prevalendo l’elemento coattivo a carico dell’inferiore (tasse, tributi e quant’altro) : il signore non ha bisogno di una occasione specifica per chiedere una prestazione al suo servo; e questi d’altro canto può in certi casi riferirsi a consuetudini come l’ospitalità per richiedere doni al suo signore , ma il più delle volte la richiesta è avanzata sul presupposto generale che il potente deve mostrarsi generoso nei confronti dei suoi sudditi, che hanno sempre e comunque bisogno della sua prestazione e della sua assistenza. Nel caso dei matrimoni conclusi tra il Faraone e una principessa asiatica, come già largamente trattato, lo squilibrio derivante dall’atteggiamento del re d’Egitto comporta una situazione del tutto particolare, i cui tratti salienti sembrare essere i seguenti: un acuirsi del carattere di scambio donna-beni di pregio, in particolar modo “oro”; l’accentuarsi dell’aspetto economico di questa transazione, dove in cambio di una principessa si ricevono beni di pregio, ed una conseguente assunzione di schemi tradizionali che risentono, non tanto della forma quanto della sostanza, del sottofondo mercantile; il presentarsi del matrimonio internazionale come una vera e propria occasione per uno scambio di beni, in essi includendo sia la principessa che va sposa al Faraone e la sua dote che il complesso dei doni versati dal re d’Egitto al Grande Re, padre della sposa. Esempio da sottolineare e molto significativo di una trattativa matrimoniale tra due corti, è quella condotta da Tusratta con Amenofi III° e poi in seguito con Amenofi IV, relativamente al matrimonio della figlia Taduhepa con i due Faraoni; com’è noto, la principessa mitannica sposò il figlio Amenofi IV, quando questo successe al trono di suo padre. Quando Amenifi III° richiede al re di Mitanni la mano di sua figlia, Tusratta acconsente con grande entusiasmo ma al tempo stesso chiede oro al Faraone: “ molto oro, oro di gran qualità, in quantità immumerevole” …”dieci volte di più che a mio padre “ e così via L’oro viene chiesto come “dono nuziale” ( terhatu), ma risulta evidente il vivo desiderio del re di Mitanni di concludere un buon affare con l’Egitto, in occasione di questo matrimonio. In segno di incoraggiamento e di stimolo alla generosità faraonica, si promette una pari generosità da parte mitannica . Ma Amenofi III° non accontenta Tusratta, così come il re di Mitanni avrebbe desiderato: l’oro sperato non giunge dall’Egitto e perciò Taduhepa resta a Mitanni, insieme con il messo egiziano, ivi trattenuto: Tusratta chiede che gli venga inviato l’oro e tutto si risolverà nel migliore dei modi . Così avviene : il Faraone spedisce i doni opportuni e Tusratta può finalmente annunciare : “ A mio fratello, che amo, darò mia figlia in sposa” . Con la conclusione del matrimonio non sembravano ancora definiti completamente i relativi aspetti matrimoniali: la lunga lettera in urrita di Tusratta , che con tutta probabilità è stata scritta in un momento successivo a EA 21 , contiene nuove richieste d’oro, che vengono inserite nel quadro degli accordi matrimoniali , in particolare, il re di Mitanni chiede che gli venga spedito una statua d’oro, che gli era stata a suo tempo promessa . E dunque, i doni nuziali di Amenifi III° , che EA 21 lasciava supporre fossero stati inviati a Mitanni, hanno evidentemente accontentato Tusratta in misura sufficiente ad indurlo all’invio della figlia, ma non al punto da trattenerlo dal chiedere ancora .

I DONI

QUALE ELEMENTO DELA DIPLOMAZIA NEL VICINO ORIENTE ANTICO


E’ bene puntualizzare a questo punto un altro aspetto relativo ai doni offerti in occasione di un matrimonio, quello dei momento beni dotali, precisando il modo con il quale essi si inseriscono nel quadro degli scambi tra le parti. Abbiamo visto che i beni destinati alla “dote” non si pongono in contropartita dei doni di nozze: lo scopo cui sono diretti è quello di concorrere alle necessità economiche del marito, come capo famiglia; per questo egli godeva, durante tutta la durata del rapporto coniugale, dell’usufrutto dei beni dotali, che venivano restituiti alle donne in caso scioglimento del vincolo. Nella considerazione di un punto, strettamente economico, è dunque da escludersi la configurazione del matrimonio come uno scambio di una donna oltre il suo complesso di doni dotabili contro il versamento di un bene di nozze. Pertanto, questo caso è completamente differente da quello dei facoltosi matrimoni dinastici per la loro ideologia funzionale e per tutta la diplomazia applicata all’esclusivo sfondo politico. Uno dei momenti, come già detto, di cessione di un bene a titolo di dono è quello “dell’ascesa al trono” di un monarca, avvenimento di notevole importanza nel quadro dei rapporti internazionali; interesse principale del nuovo re è quello di avere riconoscimento nel proprio rango dagli altri sovrani suoi pari ed inferiori, per l’obbligo di mantenere e consolidare la posizione di cui godeva il predecessore nei confronti dell’opinione pubblica internazionale. La situazione assume diverse sfumature, quando il nuovo re si trova in una posizione più sicura sul piano internazionale: in tal caso il “riconoscimento” si elabora come atto di omaggio formale e sostanziale, come l’assicurazione rivolta al nuovo re che godrà dello “status” di potere, tra soggettivi di pari rango, così come il suo predecessore . Si è detto che, nell’ambito del rango di Grande Re, la differente posizione in cui all’atto pratico si vengono a trovare i singoli soggetti nei rapporti reciproci determina delle variazioni rispetto alla prassi normale. E’ il caso di un Grande Re non ancora del tutto sicuro della sua posizione sulla scena politica internazionale, o di un Grande Re che obiettivamente riconosce la supremazia , a livello di semplice prestigio, del collega cui si rivolge per annunziare la sua ascesa al trono. Il tratto caratteristico di queste situazioni è rappresentato dall’invio di doni alla controparte nel momento stesso in cui gli si annuncia la propria intronizzazione, e ciò con l’ovvio intento di propiziare un rapido e benevolo riconoscimento del nuovo “status”. Il confronto delle posizioni reciproche è suscettibile tuttavia di mutare, con il variare delle circostanze di fatto che sono alla base dei singoli rapporti, e allora mutano anche gli atteggiamenti dei soggetti, il dono è la sostanza delle relazioni. Lo scambio dei doni nel momento dell’ascesa al trono di un re è del resto solo l’atto iniziale di un rapporto che si inserisce in un altro precedente e si sviluppa in seguito con modalità di volta in volta differenti. Si pensi al caso di Tusratta, inizialmente deferente ed ossequioso nei confronti di Amenifi III° e successivamente insistente e petulante nelle richieste di doni da parte del Faraone, una volta assicuratosi nel suo rango di Grande Re, di fatto oltre che di nome. Si pensi anche al comportamento di Burnaburias, cordiale e apparentemente disinteressato nei confronti di Amenofi III°, e assai più deciso con Tutanhamon; la sua posizione di re di Babilonia si stava infatti decisamente deteriorando ed egli tenta per così dire, di fare la voce grossa con il nuovo e giovanissimo Faraone: gli invia dei doni, ma si lamenta della inadeguatezza di quelli ricevuti; contemporaneamente lo ammonisce a non intrattenere rapporti con gli Assiri, suoi presunti sudditi , in realtà suoi temuti nemici , cui si vorrebbe veder negare l’amicizia e la solidarietà egiziana. Altro motivo di scambio di doni è la stipulazione di trattati di alleanza. Anche se non si posseggono documenti che facciano menzione di scambi di doni contestuali alla stipulazione di un trattato di alleanza , siamo informati su invii di doni immediatamente dopo la conclusione di un accordo. In particolare, si sono conservate tre lettere provenienti dalla corte egiziana, successive al trattato egizio-hittita tra Ramesse II° e Hattusili III°, stipulato nell’anno 21° di Ramesse. Così nella missiva spedita da Naptera , moglie del Faraone, a Puduhepa, moglie di Hattusili III°: “ Possa tu, sorella mia , star bene ! Possa il tuo paese stare bene ! Ecco, ho sentito che mia sorella mi ha scritto per sapere come sto, ed ella mi ha scritto in occasione del buon trattato, per l’occasione della buona relazione tra fratelli che il Grande Re, re d’Egitto, nel suo cuore con il Grande Re, re di Hatti, suo fratello. Il dio Sole e il dio della Tempesta sollevino il tuo capo e il dio Sole conceda che sia prospera la pace e conceda che la buona condizione di fratelli fra il Grande Re, re d’Egitto, e il Grande Re, re di Hatti, suo fratello, sia eterna” . Dopo questo preambolo, Naptera annuncia l’invio di doni alla principessa hittita: “Ecco, ti ho mandato dei doni in segno di saluto per te, sorella mia: mia sorella conosca i doni che io ti mando per mano di Parihnawa , messaggio del re . La conclusione del trattato egizio-hittita è anche all’origine della lettera spedita da Tuya , madre di Ramesse, ad Hattusili: il testo è molto frammentario, ma nel contenuto non sembra scostarsi dalle due lettere esaminate in precedenza. Dopo le consuete felicitazioni per la buona salute delle parti e l’augurio di una prosecuzione dei rapporti di fratellanza che legavano le due corti, si annuncia l’invio di doni, in segno di amicizia verso il re di Hatti . L’accordo fra le due corti dà origine dunque a una serie di rapporti tra i famigliari di Ramesse II° e il re di Hatti sua moglie, fondati sull’interessamento reciproco per la buona condizione della controparte e completati da invii di doni, spediti in segno di augurio. Sono di grande interesse i doni conferiti per la vittoria su un nemico. Un caso particolare di doni offerti da un re ad un altro dopo la conclusione di un vittorioso scontro con il nemico è testimoniato da un documento di Ugarit: si tratta di un editto di Suppiluliuma II°. Nel preambolo storico, sono riportati gli avvenimenti che hanno condotto alla stipulazione del trattato: il re di Ugarit, invaso nel proprio territorio dalla coalizione Mukis-Nuhasse-Niya, chiede soccorso al re di Hatti, che accoglie l’invito e manda le proprie truppe in aiuto. Il re di Ugarit è così reintegrato nei propri possedimenti e, in segno di riconoscenza, offre ricchi doni agli hittiti: “Tutto il bottino o i prigionieri che avevano preso li offrirono in dono ai generali inviati da Suppiluliuma II° in soccorso di Niqmadu e Niqmadu re di Ugarit, onorò grandemente i figli del re e i Grandi….. offrì loro un dono in argento e rame “In questo caso, è da tener conto della differenza di posizione tra due sovrani, il Grande Re il piccolo re, argomentazione già esaminata e portata all’attenzione in precedenza, sanzionata del resto dal trattato di vassallaggio, e dalla circostanza che la vittoria delle truppe hittite è riportata su un diretto nemico del re di Ugarit, contro il quale lo stesso re di Ugarit aveva chiesto assistenza militare, avvalendosi dell’apposita clausola prevista nella proposta di accordo inviata da Suppiluliuma . Il terzo tipo di apporti comporta invece qualche interferenza con le sfere dei doni: da un lato la qualificazione univoca di “tributo”, nei testi annalistici egiziani e medio-assiri, per ogni tipo di apporto provenente dal “nemico” o dai paesi stranieri va chiarita sia alla luce delle circostanze reali che hanno determinato l’apporto stesso , sia soprattutto tenendo presente il tipo di ideologia politica che sottostà a questi testi stereotipati e che ha portato alla designazione unitaria di “tributo” per invii di beni indubbiamente diversi fra loro. Per quanto riguarda l’impiego del termine “tamarty”, “dono”, che più volte è impiegato accanto a biltu e maddattu , è escluso che esso possa designare un apporto assimilabile al dono, stante l’elemento di coercizione che determina l’invio di beni al sovrano da parte dei suoi sudditi e non lascia nessun margine alla discrezionalità del “donante”. Tra le occasioni per concedere doni, fin dall’antichità rientrano anche le celebrazioni festive; una lettera di el-Amarna ci documenta sulla organizzazione di festività, in Egitto, alle quali erano invitati personaggi stranieri cui sono offerti doni:” quando tu (il faraone) organizzi una grande festa, non mandi forse il tuo messaggero, dicendo: Vieni; mangia e bevi e non invii un dono in occasione della festa?” Il caso inverso di doni offerti da partecipanti alla festa è testimoniato con tutta probabilità da una lettera inviata dal re di Alasiya al Faraone, in cui si fa riferimento al mancato invio di messaggeri in Egitto, presumibilmente con doni, in occasione della celebrazione di una festa religiosa . Scrive il re di Alasiya: “Ecco, tu sei mio fratello; quando tu mi hai scritto , per quale motivo non hai inviato il tuo messaggero da me? (sappi) che io non avevo sentito che tu avessi fatto un sacrificio. Perciò non prenderla a cuore, perchè, ora che ho sentito ciò, ecco che mando il mio messaggero da te”. Come si vede, non si parla di doni. Poi il re di Alasiya deve aver comunque colto il significato del rimprovero mossogli e perciò prosegue: “e non ti ho forse mandato per mezzo del mio messaggero cento talenti di rame?” Ancora un esempio relativo ai doni è rappresentato dall’arrivo dei messaggeri dove questi erano, come tradotto precedentemente, signori di corte, molte volte essi stessi membri della famiglia reale e per la loro posizione facevano capo alla ambasceria reale nella funzione di ambasciatori. Infatti, degno di nota è che paralleli in epoca paleo-babilonese ci informano più in dettaglio sul tipo di beni che venivano offerti agli ambasciatori per le necessità inerenti ai loro spostamenti e alla loro permanenza a corte: cibo e bevande , oli per ungersi e profumarsi , vesti e sandali nuovi, asini una scorta protettiva per il viaggio oltre apporti materiali di cui si coglie a prima vista la funzione. Il trattamento dei messaggeri può in concreto oscillare tra la munificenza più spiccata e la presa in ostaggio, come nel caso di Amenifi III°, che dona oggetti di lusso in quantità ai messaggeri babilonesi, salvo ad interrompere questa abitudine, una volta che la sua generosità viene del tutto vanificata dal comportamento dei medesimi, per passare alle restrizioni più rigide, che culminano nel trattenere il messaggero presso la corte dove si è recato in missione senza concedergli di tornare in patria. Di grande interesse scientifico è il comportamento del dinasta in tema di doni e la “reciprocità” che nel periodo del Tardo Bronzo nel Vicino Oriente è documentata con estrema fedeltà e precisione. Il principio di reciprocità è il fondamento dello scambio dei doni tra soggetti di pari rango, sia sotto il profilo economico che dal punto di vista della sua rilevanza sociologica; la reciprocità comporta l’adozione di moduli operativi per lo più fissi, nell’ambito delle consuetudini proprie di ciascuna cultura. Nel quadro generale dei rapporti internazionali nel Vicino Oriente durante i secoli XV-XIII, l’operatività del principio è piena ed indiscussa e assume sovente forma di macroscopica evidenza proprio per il fatto di essere esplicitamente enunciato e richiamato all’attenzione del partner nei cui confronti vuole essere fatto valere. E’ opportuno precisare i modi con i quali la reciprocità opera nello scambio dei doni, a differenza che negli scambi di natura commerciale; se si parte dall’assunto fondamentale per cui “la reciprocità nella domanda risulta inadeguata alla risposta, non essendo materialmente eguale” , si scorgerà che l’elemento differenziale più caratteristico tra il dono e il baratto o quanto meno la compravendita è rappresentato dal tipo di “risposta” che viene effettuato da un soggetto nei confronti della controparte. In conclusione si chiarisce allora l’aspetto relativo ad ogni apporto e la necessità di ricevere il suo significato reale nel quadro complessivo dei rapporti bilaterali in cui esso si trova inserito; solo una prospettiva a tutta apertura che tenga conto delle prestazioni e delle controprestazioni nel loro insieme in grado di rendere ragione anche del singolo atto, sia dal punto di vista della sua dimensione strettamente economica, che da quello della sua rilevanza socio-politica. E’ fondamentale d’altro canto avere presente che una tale prospettiva era proprio quella dei soggetti che erano parte attiva degli scambi. Differente è il caso dei doni scambiati per “ fratellanza”, nell’ambito diplomatico, anche se i confini con i modi della sfera commerciale si presentano più sfumati; l’inserimento del dono nel clima di “famigliarità” che lega i due personaggi è operante, durante i secoli XV-XIII, con eccezionale costanza e regolarità e lo scambio si attenua in nome di un rapporto di parentela o di amicizia, oppure crea un rapporto del genere. La parentela naturale non presenta caratteristiche di particolare rilievo; se ne ha un esempio nelle lettere spedite da Tusratta ad Amenofi III° e Amenofi IV° i quali, avendo sposato Taduhepa, figlia del re di Mitanni, sono divenuti “generi” di costui, che a sua volta è “suocero” del Faraone. E’ ormai nota l’importanza dei temi termini impiegati: fratellanza, amicizia, buoni rapporti, sono il modelli al quale si ispira il comportamento “di due” che si inviano doni : la connessione del rapporto di amicizia con il dono avviene in modo stilisticamente vario: in molti casi l’offerta del dono cui non è evidente una contro risposta esplicita, si colloca come conseguenza delle dichiarazioni di fratellanza, come già visto in altri rapporti, comunque emblematico è il buon rapporto. Così per esempio, nelle tre lettere spedite dall’Egitto ad Hatti dopo la conclusione del trattato di pace; come anche emerge da una lettera di Ramesse II° a Putuhepa; in cui si dice testualmente: “ Sono in pace ( sa-al-ma-ku) e fratello (ses-ha-ka) con il re di Hatti: egli e’ mio fratello e alleato (ses-yai-na te-mi-ya) per sempre”, “ho mandato doni alla [grande(?)] r[egina(?) del paese di Ha]tti: conoscili. Un’altra lettera di Ramesse a Hattusili contiene anche formule di felicitazione sulla buona condizione del re di Hatti, di sua moglie, dei figli e si conclude con l’invio di un dono. Pressoché simile la struttura sembra presentare un’altra lettera di Ramesse a Hattusili, molto frammentaria. Una valutazione complessiva di questi modelli di comportamento mostra una sorprendente omogeneità ideologica, che si traduce in una corrispondente omogeneità di moduli espressivi: gli scambi di doni non sono un fatto esclusivo del Tardo Bronzo, così come non lo è il concetto di fratellanza applicato ai rapporti fra due soggetti. Quello che è invece tipico nei secoli XV-XIII è il costante inserimento degli scambi in un’atmosfera di famigliarità, di amicizia, di buone relazioni, in misura accentuata ed uniforme come in nessun’altra epoca. Se si considera, ancora una volta, lo stile del dono paleo-babilonese, si noterà che, nel suo insieme, esso si presenta assai più spigliato e laconico, quasi sempre privo della complessa impalcatura ideologica che si accompagna allo scambio dei doni del Tardo Bronzo, anche se il concetto di “ahhùtu” è presente ed operante, sia nella sfere dei rapporti internazionali che nell’ambito della tradizioni commerciali, dove la “fratellanza” viene spesso invocata in ordine ad un concetto di buon andamento del rapporto. Ma, nonostante l’esistenza sullo spirito di generosità nel donare, la caratteristica del dono durante il Tardo Bronzo sembra essere quella di un mercato reale, che al disotto delle forme cerimoniali e stereotipe non fa perdere mai di vista il risultato finale, ma anzi vi si sofferma spesso con monotona insistenza. Si veda ad esempio un’espressione tratta da una lettera di uno scriba egiziano ad altro scriba, databile alla fine del XIII secolo: “ Si dice anche che tu sei molto ricco a dismisura, ma tu non dai niente a nessuno”. In essa trova chiara formulazione il concetto della generosità come dovere sociale di chi ha i mezzi per elevarsi economicamente al di sopra della media e la necessaria riprovazione verso un atteggiamento di mera tesaurizzazione, che porta ad accumulare beni senza avere alcuna iniziativa per renderli attivi ma solo per il gusto di essere, ricco. E’ interessante verificare la sfaldatura di significato nell’impiego del termine “fratellanza”, “ahhutu” in situazioni che si riferiscono a rapporti commerciali e viceversa in relazione a scambi di doni: nel primo caso la fratellanza viene invocata come richiamo alla correttezza che deve contraddistinguere le relazioni fra le parti quando è in gioco un interesse economico, mentre nel secondo caso la fratellanza è indice di amicizia e necessario punto di partenza per l’espressione della generosità che deve contraddistinguere un rapporto di scambio di doni. In effetti, la generosità rappresenta il fulcro del dono, sotto il profilo sociale, perché da essa scaturisce la posizione di vantaggio, in termini extra-economici, del soggetto nei confronti del destinatario e, per riflesso, nei confronti della collettività che giudica i componenti suoi membri; la distribuzione della propria ricchezza pone automaticamente il soggetto in posizione di supremazia rispetto a chi riceve o a chi distribuisce. E’ chiaro però che il meccanismo dei doni presuppone una coscienza della portata e del rilievo assunto dai singoli comportamenti; in altri termini, il discorso sulla generosità acquista un senso solo tenendo presente l’aspetto complementare del donare e cioè la reciprocità. Anche nel caso di elemosine e beneficenza, dove l’obbligo della reciprocità è praticamente assente, l’aspettazione di una contropartita, per immateriale che sia , è ben presente al soggetto che dona: il dono può presentarsi come assolvimento degli obblighi di ospitalità, di aiuto verso i bisognosi( o parenti in genere ), o di munificenza legate al rango elevato ( elargizioni ); la contropartita in fattispecie del genere è spesso confinata al livello dell’accresciuto prestigio sociale acquisito per il semplice fatto del dare e non si materializza nella pretesa di una contro-prestazione omogenea da parte del beneficiario del “dono”. Ma è proprio questa situazione limite a scoprire la vera natura della reciprocità come principio basilare del dono. Il donare non è mai privo di conseguenza anche se variano le forme e l’aspetto del ricambiare. In molti casi il dono è offerto o ricambiato ad usura proprio per porre il destinatario in una posizione di inferiorità con il creargli una situazione debitoria, socialmente svantaggiosa. Il dono si ritrova argomentato e documentato largamente anche con riferimento alla tradizione. Passato, presente e futuro sono in tal modo lo sfondo su cui viene proiettata l’ideologia del donare e su cui si modellano gli schemi che guidano le prassi degli scambi. Il passato è il principale punto di riferimento dei soggetti nei confronti della situazione presente; il raffronto si attua attraverso l’impiego di una schematizzazione costante del tipo: “ prima le cose procedevano in modo soddisfacente ed anche ora dovrebbero andare così”, ovvero “prima le cose procedevano in modo soddisfacente ed ora dovrebbero andare meglio di prima”. Gli esempi di questo procedimento stilistico sono numerosi. A proposito del primo schema, nella maggior parte dei casi si passa direttamente dal richiamo al passato alla prospettiva presente, ampliata al futuro: per esempio: “come nel passato tu e mio padre eravate in buoni rapporti l’uno con l’altro, così, ora, per quanto riguarda me e te nessun’ altra questione sia discussa fra noi.” “ Mio fratello mi mandi molto oro, così come mio fratello in passato mi mandò molti doni ed ancora “tu , fratello mio, in bella maniera ti sei comportato da amico nei confronti di mio padre. Ora sii ugualmente amico con me. Ecco che in dono per te ti invio…..” In altri casi la rievocazione del passato è esplicitamente contrapposta alla situazione presente, in vista di un cambiamento per il futuro: “Da quando i miei padri e i tuoi padri stabilirono relazioni amichevoli fra di loro si mandarono l’un l’altro bei doni e non si rifiutarono l’un l’altro nessuna richiesta di belle cose. Adesso mio fratello mi ha mandato in dono solo due mine d’oro: ora se c’è molto oro, mandane quanto tuo padre, se invece è scarso, mandane almeno la metà di quanto ne mandava tuo padre”. I due schemi contrappositivi ( “prima era bene – anche ora e in futuro sia così”; “ prima era bene – ora è male – in futuro sia bene); sono in realtà due varianti rispetto ad un unico modulo espressivo che contrappone una visione mitica del passato, in cui si proietta il modello ideale dell’agire corretto, alla situazione presente che è potenzialmente o concretamente deteriore rispetto al canone dei tempi andati; di qui il desiderio o la promessa di un adeguamento del presente alla prassi antica. E’ tipico dell’impianto del discorso in termini strettamente antieconomici : “ nel passato…ora”, “tuo padre … ora noi” con il quale si interpretano gli avvenimenti, in termini assoluti di: “bene” e “male”. Il motivo più volte ricorrente nelle lettere del re di Mitanni; in alcuni casi il riferimento ai doni è indiretto e si presenta sotto forma di amicizia e dei suoi rapporti: “ Al tempo dei tuoi padri, essi erano in rapporti molto amichevoli con i miei padri. Ma ora tu hai aumentato quest’amicizia e sei stato in rapporti eccezionalmente amichevoli con mio padre. Perciò ora, dal momento che noi siamo reciprocamente amici, tu hai accresciuto quest’amicizia dieci volte di più che con mio padre. Gli dei facciano in modo che noi possiamo essere amici in questo modo! “ Il passato, il presente e il futuro non appaiono come momenti dell’agire concreto, ma fanno parte di un unico schema di articolazione ideale, che risulta fisso nel tempo e immutabile, elemento stereotipo e fuori del tempo.

LE ARTICOLAZIONI SOCIALI

Si e’ parlato lungamente del “dono” come elemento di congiunzione nella società dinastica del Vicino Oriente nel Tardo Bronzo. Certamente è di rilievo trattare come i rapporti sociali dell’epoca si articolavano. Nei capitoli che precedono, relativamente ai “trattati”, si è posta attenzione ai rapporti intercorsi tra soggetti di pari rango, convenientemente in rapporti paritari, siano essi Grandi Re o piccoli re o nell’opportunità, servi. Ma necessario dedicare la nostra attenzione anche ai rapporti non paritari tra soggetti di diverse levature sociali. Per questo, è giusto approfondire l’attenzione la problematica dell’articolazione sociale nel Vicino Oriente nella Tarda età del Bronzo. Elemento di centro è il “rango” e l’influenza del rango nella società del tempo. In effetti il rango è l’età, la posizione sociale, la posizione politica, il sesso, la discendenza; attraverso il rango dell’individuo si propone una comparazione con altri soggetti di rango, tanto da definire i rapporti di livello nel rango. La connessione tra rango dei patners e il principio della reciprocità nel quadro delle culture primitive ha permesso di verificare le varianti operative nei meccanismi degli scambi in rapporto alla diversa qualificazione sociale dei soggetti. Sappiamo ormai come funzionano le condizioni sociali dei livelli di equilibrio e comparazione tra individui, pertanto è paritario ogni livello sociale riconosciuto e distinto per il rango: Grande Re o piccolo re, Funzionario del Grande re, funzionario del piccolo re. Qualora si pongano in rilevanza due soggetti dal medesimo rango il rapporto è definito paritario, mentre nell’incontro di un soggetto di rango superiore con un soggetto di rango inferiore, il rapporto non è sicuramente paritario ma rapporto detto tra “ signore “ e “schiavo.” Pertanto, gli scambi dei doni fra Grandi Re sono generalmente caratterizzati dall’adozione di schemi cerimoniali standardizzati, che discendono da consuetudini internazionali consolidate dalla prassi diplomatica e dal grado di socialità che si occupa: la nozione del rango come fattore cogente dei rapporti tra soggetti di pari grado è presente in maniera spiccata nell’ideologia dei Grandi Re dell’epoca. Su un piano generale si sottolinea un passo della lettera di Puduhepa a Ramesse II°, in cui la regina di Hatti, risponde con fermezza ad una osservazione del Faraone: “ il re di Kardunias non è un Grande Re, allora mio fratello non conosce il paese di Kardunias, a quale rango esso appartiene Il brano parla da solo, dando spicco al valore ed importanza che viene attribuito a un regno se creduto e riconosciuto “ di rango”, come elemento qualificante lo “status” dei soggetti nei rapporti internazionali; in tutto questo, si denota la stessa ideologia politica, tipica del Tardo Bronzo. Altrove, gli scambi di doni tra piccoli re e funzionari di rango inferiore assumono una più marcata caratterizzazione in senso mercantile, per il concorrere di diversi fattori, precisione e con testualità delle prestazioni, beni che appartengono in tutto o in parte ad un livello inferiore, elemento psicologico più orientato verso il guadagno che non verso la generosità. Così ad esempio il rabisu di Alasiya invia al rabisu d’Egitto rame, zanne d’elefante e legname e chiede avorio in cambio, facendo contemporaneamente uso di formule cerimoniali che, in questo contesto di scambi , appaiono abbastanza grotteschi ed artificiali; il re di Qadesh invia al re di Ugarit capre ed asini. Prendendo in considerazione i contratti di vassallaggio, una fattispecie ampiamente rappresentata nel corpus dei trattati hittiti, vediamo che in essi compaiono termini tecnici per “ tributo ”, le denominazioni tipiche per il “ dono augurale “: così ad esempio, nell’accordo tra Morsili II° e Niqmepa, già accennato precedentemente, che fissa una riduzione del tributo a carico del re di Ugarit, si accenna concretamente ad “oro tributo e doni” ; la differenza è molto significativa : il “tributo” si riferisce ad una certa quantità d’oro a peso che il re di Ugarit deve versare al re di Hatti, mentre i “doni” consistono in una serie di beni di lusso: “ coppe, vestiti, lane e porpora” destinati a vari personaggi di corte: l’editto di Morsili II° stabilisce testualmente: “ il Grande Re ha posto questi doni a carico del re di Ugarit. Ma non ci sarà da dover nient’altro ai Grandi o ai figli del re.” Di notevole interesse, il dono del signore al servo muove dal principio che la disponibilità di rango obbliga il superiore a mostrarsi generoso verso l’inferiore, basti ricordare l’enfasi e l’entusiasmo con cui si attribuisce al proprio benefattore la qualità di “Grande Re” per pretendere ed ambire da lui una generosità adeguata al rango. Tipico il caso del Prefetto di Qadesh, già accennato in precedenza, che chiama il re di Ugarit, suo Signore, un “Grande Re” ; certamente siamo nella sfera delle adulazioni smaccate, e ciò si spiega in vista della stessa connessione tra rango e generosità. Tutte le richieste avanzate dai vassalli siro-palestinesi al Faraone si fondano sul presupposto che la disponibilità di rango deve esprimersi, da parte del Signore, attraverso una concreta manifestazione della sua generosità. Anche il dono del servo al signore, e quello del Signore al servo non viene qualificato come”sulmanu”: qistu, questo conferma lo sbilanciamento del rango ed è frutto finale di situazioni ideologicamente diverse rispetto a quelle che vedono i partners su posizioni paritetica. La personalità del dono presuppone e al tempo stesso crea un rapporto personale tra i soggetti che lo scambiano, mentre l’attività di mercato non coinvolge le parti se non limitatamente alla dimensione economica del loro operato; colui al quale si offrono doni e dal quale se ne ricevono è una contropartita a cui si è legati da un preciso vincolo che,nelle situazione bilanciata, è definito in termini di “ fratellanza”. Uno dei sintomi più vistosi della “globalità” dello scambio dei doni è rappresentato dalla prospettiva in cui è vissuto il rapporto a due; dal momento che il dono è espressione di amicizia, tra soggetti che a loro volta non sono amici fra loro. Si ricordi, per una situazione strutturalmente del tutto analoga, il brano di una lettera dal re di Babilonia a Tutanhamon, dove esorta il Faraone a non fare acquisti dagli assiri; qui è interessante riportare il passo immediatamente precedente alla esortazione, perché rivela l’impostazione politica del discorso successivo, relativo allo scambio dei doni tra Egitto ed Assiria: “Al tempo di Kurigalzu, mio padre, tutti i Cananei gli scrissero in questi termini: “ Scendiamo contro i confini del paese d’Egitto e facciamo una rivolta, stringiamoci in alleanza con te . Mio padre rispose loro così Smettete di volervi alleare con me. Se voi cercate ostilità con il re d’Egitto, mio fratello, e desiderate mettervi al fianco di un altro, non verrò io a fare un’incursione contro di voi, dato che egli è dalla mia parte. Mio padre per un riguardo verso tuo padre non li ascoltò. Ora….” Anche in questo caso, la contrapposizione tra due situazioni si rivela estremamente significativa: il re di Babilonia la conforta del motivo del dono come espressione di un vincolo personale; “essere ben disposti” verso il destinatario del dono, in un testo storico, è tanto più significativo se paragonato ai testi storici egiziani o medio-assiri, dove lo scambio dei doni è presentato costantemente come un bottino militare o un tributo riscosso da vinti o da sudditi. Il “dono” è uno strumento per stabilire e mantenere un rapporto di scambio tra le parti, mentre nell’attività di commercio il rapporto tra le parti è lo strumento per ottenere l’oggetto desiderato, “la merce”; si tratta della stessa distinzione verificata, a livello formale, tra i doni che si accompagnano alle lettere e le lettere che si accompagnano ai doni: nel primo caso l’oggetto della comunicazione riguarda la buona relazione fra le parti, che è sottolineata da un invio di doni; nel secondo caso l’oggetto è il bene che si invia o si richiede e la lettera esaurisce in questo la sua funzione.


C O N C L U S I O N I


E’ stato importante, durante tutto l’elaborato percorrere, attraverso i documenti a nostra disposizione, varie aree culturali del Vicino Oriente Antico. Certamente si è posto il problema, creando e correndo irrevocabilmente il rischio, di una valutazione indifferenziata ed appiattita delle varie aree regionali. Ogni elemento culturale si alloca all’intersezione di spazio e tempo, nella continuità della tradizione culturale interna e nell’interazione con le culture circostanti. E’ discutibile se la comunità del tempo in una singola regione sia più importante dei comuni contatti attraverso lo spazio in un singolo periodo. La normale delimitazione delle tradizioni storiche sull’Oriente è sin troppo spesso “gli hittiti” o “l’Egitto”, e troppo raramente il “Tardo Bronzo” o il “XIV secolo”, probabilmente più a motivo della competenza degli studi che di una consapevole scelta di metodo. Le ben note varietà regionali o nazionali emergono chiaramente. Ma per quanto riguarda le differenze di comportamento, non si tratta del personale comportamento dei singoli re, ma di modelli o stili di comportamento culturale dei singoli regni. Si potrebbe ancora imitare il sorpassato approccio dei “modelli di culture”, che in effetti non è stato applicato all’Antico Oriente quando era in “voga”, e contrapporre l’hittita dalla mentalità giuridica , sempre ansioso di essere nel giusto, l’aggressivo Assiro, troppo impaziente di essere riconosciuto come un capo e di far dimenticare le sue, obiettive, modeste origini, il disinteressato egiziano con il suo complesso di superiorità, sempre sul punto di abbandonare il gioco, e quella strana miscela di decadente tradizione e di rozzezza montanara che è il re cassita. E invece questi membri del riservatissimo gruppo d’elite delle “grandi potenze”, i cari fratelli di tante lettere, sembra non si siano mai incontrati; non in occasione pacifiche, visto che Hattusili saggiamente rinunciò al viaggio in Egitto, per non farsi strumentalizzare della propaganda faraonica, e difficilmente sul campo di battaglia di Qadesh, dove Ramesse non riuscì a vedere Muwattali ben “nascosto”, dietro vassalli ed ufficiali. A prescindere da un Huirba-tille catturato vivo da Kurigalzu, o da un Kashtiliash catturato vivo da Tukulti-Ninurta, quando ormai sconfitti non erano più grandi re ma solo preziosi elementi di bottino. Alla vigilia del collasso, la cultura dell’età del Bronzo, nel suo ambito palatino, raggiunse il culmine della raffinatezza e dell’omogeneità di tutta l’area. Dovunque ci sia un palazzo, esso costituisce una maglia nella rete di contatti, e una base di diffusione dell’altra cultura. Il sistema di palazzi, tuttavia, include anche aree non palatine, che configurano una “periferia” che è anche una componente essenziale del sistema, una parte funzionalmente diversa, necessaria per formare il sistema dei rapporti sbilanciati, delle attività unidirezionali. E’ anche una periferia sociale, di fuggiaschi, di banditi e predoni. Occorre tener presente la complessità ecologica e socio-economica del sistema, delle frange periferiche, attraverso il corpo portante della comunità di villaggio, fino al culmine dei palazzi, anche se le interazioni documentate e senza dubbio gran parte di quelle effettivamente verificatesi ebbero luogo a livello dei palazzi reali, per mezzo di una procedura che noi abbiamo ancora la possibilità di ricostruire. Nella dialettica fra elementi specifici ed elementi comuni, fra i due estremi di ciò che viene adottato da tutti a scopo di interazione, un’ampia serie di elementi sono comuni come risultato di questa interazione. Nel trattare le interconnessioni, le tendenze più ingenue portano a sottolineare le somiglianze in quanto tali. Il tentativo di inquadrare ogni elemento nel suo proprio contenuto culturale è più difficile ma più remunerativo e storicamente corretto. In effetti, dobbiamo domandarci come venisse recepita la stessa parola accadica dagli egiziani e dai siro-palestinesi, nel quadro delle rispettive ideologie e prassi politiche, quali poterono essere i metri di giusta comprensione ed individuazione dell’espressione, nel riferimento storico, più che linguistico, nel quadro della rispettiva ideologia e prassi politica. L’analisi di una singola parola, se condotta in conformità e applicata a sinonimi e antonimi e alla fraseologia relativa, può diventare un emblematico studio esplicativo per la comprensione contrapposta di due mondi politici che interagivano da differenti punti di partenza e con scopi diversi. Tutt’altra questione sarebbe una convalida “scientifica”, in termini matematici della correttezza dell’ipotesi iniziale, una volta applicata alla documentazione disponibile. Non si dispone, concretamente dei criteri oggettivi per una qualificazione dei fattori ideologici nei singoli dati, cioè nei singoli testi. E inoltre non si dispone di un “corpus” di dati sufficiente per qualità ed equilibrato per distribuzione. Dobbiamo accontentarci del “modello geometrico delle ideologie” proposto da Zeeman, o della “geometria dell’ imperialismo” proposta da Arrighi , al fine di convalidare o rigettare l’adeguatezza dell’approccio. Ma anche una griglia elementare, con una gamma quantitativa simmetrica- centralità su un asse, e con una distribuzione geometrica del tipo parallelo tra Egitto, Hatti e Siria e quant’altri importanti e primari regni, non potrebbe essere tentata in modo serio. Il peso di questi fattori va valutato separatamente e azzerando gli altri ( rifacendosi al passato, una volta si diceva: “ceteris paribus”), per soppesarne l’effettiva rilevanza senza attribuire aprioristicamente tutta la differenza ad un fattore solo, come in effetti troppo spesso si fa. Il fattore nazionale-culturale è molto forte, ed è il fattore meglio conosciuto e maggiormente avvertito dagli studiosi nei rispettivi campi, tanto egittologico, assirologico e hittitologico, abituati come sono ad occuparsi solo dei loro testi. Recependo come questi “unici” e gli altri come” secondari, subordinati o comunque, diversi”. Questo fattore è particolarmente forte nella contrapposizione tra dati “asiatici” complessivamente considerati e dati egiziani : questo è un fatto innegabile ed estremamente evidente. Lasciando da parte, per mancanza di documentazione adeguata, le ideologie mitanniche e cassita, dove si potrebbero considerare, solo tra virgolette, come eroico-volleitarie e come abulico-difensivo rispettivamente, gli atteggiamenti politici di Assiri ed Hittiti, non c’è dubbio che si tratti di atteggiamenti sensibilmente diversi. L’Assiria adotta un’ideologia centralistica e fornisce i migliori paralleli al materiale egiziano, mentre l’accettazione e l’uso hittita della simmetria sono assai più radicati nella teoria e nelle prassi politiche. Un diverso impianto di realtà politica sulla ideologia segna gli opposti atteggiamenti di “grandi” e “piccoli” regni, con le necessarie premesse, che ciò ha portato grande disturbo sul piano strutturale che, i “piccoli regni” appartengono quasi esclusivamente all’area siro-palestinese e a parte di quella anatomica, ma non all’Egitto e alla Mesopotamia, dove l’unificazione politica aveva declassato gli stati cantonali ad entità puramente amministrativa. Il fattore essenziale è quello tipologico; esiste una opposizione netta tra quello che si dice al pubblico interno e quello che si dice all’interlocutore esterno. Un’iscrizione reale egiziana pesenterà i fatti più o meno differentemente da un’iscrizione reale assira per l’uso di “codici” e metafore assai difformi da una lettera egiziana diretta in Assiria. Una lettera assira diretta ad Hatti è del tutto diversa da un’iscrizione reale assira, e pressoché identica ad una lettera hittita diretta all’Assiria; questo, a parità di altri fattori, cioè in pratica trattando del medesimo evento storico. Solo quando la nostra comprensione dei codici, delle caratteristiche “nazionali”, della situazione storica siano tutti portati ad un livello sufficiente , ciò che in effetti non è sempre possibile, l’uso coordinato dei tre fattori dovrebbe consentirci di percepire davvero la storia attraverso una vera e limpida storografia.

Fondamento per la conoscenza dei fattori storici risulta l’ideologia. L’approfondita consapevolezza del peso della ideologia sugli avvenimenti storici dovrebbe generare una nuova lettura della storia politica stessa. Forse ci si aspetta dei testi, che contengano precise e infallibili indicazioni sui cambiamenti introdotti della valutazione  e ricostruzione degli avvenimenti  politici del tempo. Più in generale, questa è anche una sollecitazione per una diversa valutazione della storia politica. La storia economica e sociale ha da tempo accertato che il livello dei singoli episodi non può essere correttamente compreso senza una ricostruzione delle generali strutture  sottostanti. Invece la storia politica sembra rimasta  campo libero, come un seguito non sfruttato di fatti non riconducibili ad alcun sistema. Ma anche le battaglie  ed i trattati hanno le loro strutture, la corretta comprensione dei singoli avvenimenti politici  non può fare a meno  di una griglia strutturale  di riferimento e di una precisa metodologia di analisi. Le ideologie studiate condividono forma e funzione, secondo tutte le ideologie dello stesso settore nelle varie formazioni politiche” i palazzi reali”.

Già nell’introduzione si è detto che i testi disponibili possono considerarsi accessibili nei loro termini generali anche agli strati bassi e corpo principale della popolazione, mentre erano negli elementi più specifici esclusivamente rivolti ai ceti palatini e comprensibili solo a questi. L’apprezzamento culturale delle realtà, i principi fondamentali della coesione socio-politica devono essere stati grosso modo comuni, ma la teoria propriamente politica appartiene propriamente alla classe dominante. Ora, le altre classi di quei regni, o i gruppi marginali della “periferia”, in sè avevano in realtà propri modelli socio-politici e culturali. La presunzione che i contadini fossero uguali dovunque significa conferire il monopolio della cultura alle elite di governo. Le differenze forse erano altrettanto marcate nelle “maggioranze silenziose”, e queste non ci hanno lasciato nè lettere né iscrizioni monumenti.


                          BIBLIOGRAFIA

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